Il primo Ricettario di Giovanni Meli

Il primo Ricettario

ISBN: 9788876768118
Edizione 2022, 248 PAGINE



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Descrizione

All’ampia produzione poetica di Giovanni Meli, eclettico intellettuale attivo a Palermo tra la fine del XVIII e l‘inizio del XIX secolo, è stata ed è tuttora dedicata molta attenzione; solo a partire dai primi anni del ’900 si è andata arricchendo l’indagine storica sulle sue attività di medico e di professore di Chimica. Medico lo divenne, riferiscono i suoi biografi, non per vocazione ma su spinta della madre, perché con la rendita futura potesse contribuire al magro bilancio familiare. Nei suoi studi di medicina ebbe ottimi maestri, Baldassare Fagiani (1713 – 1763), Stefano Pizzoli (1717 – 1797) e Giovanni Gianconti (? - 1800), dai quali fu molto apprezzato. Ottenuta la licenza per l’esercizio della professione, fu medico condotto a Cinisi, per quasi sei anni, e poi esercitò la professione di medico per il resto della sua vita - fu anche medico ordinario del Presidente del Regno - apprezzato da tutta la società palermitana, dalla nobiltà ai poveri, ai diseredati ai quali dava assistenza gratuita. A Cinisi scrisse anche di filosofia, mantenendosi nella corrente di pensiero nord-europea, basata sulla concezione meccanicistica dei corpi viventi, interpretando il flusso vitale secondo la proto-termodinamica flogistica diffusa in tutta Europa fino all’ultimo quarto del XVIII secolo.

Nel 1787, resosi vacante un posto di lettore di Chimica della Facoltà di Medicina della Reale Accademia degli Studii di Palermo, fu chiamato a ricoprirlo; quando, nel 1806, l’Accademia venne promossa a Regia Università, fu nominato Professore, titolo che mantenne fino alla morte. Inevitabilmente, in Meli l’esercizio della professione medica e l’insegnamento della Chimica – per alcuni anni di Chimica e Farmaceutica – non potevano restare separati: dalle pagine del manoscritto Elementi di Chimica, che contiene i testi delle lezioni del suo corso, traspare quanto le competenze di Medicina, Chimica e Botanica si intrecciassero tra loro. Per secoli la Medicina aveva utilizzato i semplici (sostanze singole ricavabili in Natura, soprattutto di origine vegetale) come basi per confezionare farmaci, mediante operazioni di riscaldamento o raffreddamento, di estrazione o cristallizzazione, di distillazione o di sublimazione, che la scienza chimica aveva assorbito all’interno delle sue competenze, senza perdere di vista le finalità terapeutiche dei relativi prodotti. Nelle sue lezioni di Chimica, Meli non dimenticò di citare quest’aspetto, che apprendeva dalla letteratura del suo tempo, basata sulla teoria del flogisto fino alla pubblicazione dei risultati sperimentali e delle riflessioni elaborate da Antoine Laurent Lavoisier (1743 – 1794).

 
Autore

Giovanni Meli

Giovanni Meli nacque nel Regno di Sicilia, da Antonio di professione orefice e da Vincenza Torriquas, durante la monarchia riformista di Carlo III di Sicilia. In questo periodo, il buon governo del viceré Caracciolo favorì, grazie a una serie di riforme, la rinascita della vita culturale e civile, specie a Palermo.

Giovanni Meli raggiunse notorietà in tutt'Italia aderendo ai modi e allo stile dell'Arcadia con una dimensione tutta sua e con l'uso della lingua siciliana. Venne educato presso le scuole dei padri Gesuiti e si appassionò giovanissimo agli studi letterari e filosofici soprattutto della corrente illuministica, che nata in Francia allora imperava in Europa. Il Meli non mancò di coltivare anche da autodidatta i classici italiani e latini e fra i contemporanei gli Enciclopedisti francesi da Montesquieu a Voltaire, trovando ispirazione per un poemetto giovanile rimasto incompiuto, Il Trionfo della ragione.

Giovanni Meli era solito recarsi a Terrasini, un comune vicino a Palermo, precisamente nella "grotta perciata" nella quale componeva le sue poesie.

Il suo esordio poetico, che avvenne a soli quindici anni con versi d'occasione, lo fece talmente apprezzare nella ristretta ed esigente cerchia dei letterati palermitani da farlo nominare socio dell'“Accademia del Buon Gusto”, una delle tante che caratterizzavano il costume letterario del tempo, dove ci si riuniva a declamare versi e a disputare di questioni culturali. Passò via via a più importanti circoli esclusivi della nobiltà e più alla moda; nel 1761 come socio dell'Accademia della Galante conversazione e nel 1766 a quella degli Ereini nelle quali declamava con crescente successo le sue composizioni in dialetto e in lingua.

La celebrità arriva nel 1762 col poemetto La Fata galante, in cui il Meli immagina d'incontrare una fata, figura allegorica della fantasia, che gli propone sotto forma di fiabe mitologiche, tematiche filosofico-sociali, in cui egli trasferisce in forma poetica la sua filosofia, non certo omogenea e ordinata secondo un organico disegno e modellata sui cosiddetti romanzi filosofici francesi o sui più antichi modelli allegorici della letteratura europea.

Eco della Sicilia di Francesco Paolo Frontini ed. Ricordi 1883 - Versi di G. Meli

Per poter vivere aveva intanto intrapreso gli studi di medicina, spinto anche dalla madre, e nel 1764 conseguì il titolo professionale presso l'Accademia degli Studi di Palermo. Esercitò la professione di medico soprattutto a partire dal 1767, trasferendosi come condotto nel paesino di Cinisi, dove veniva chiamato l'abate Meli, poiché vestiva come un prete anche senza aver ricevuto gli ordini sacerdotali minori.

La sua attività letteraria divenne più fertile e ivi compose le Elegie, parte del poema la Bucolica e scritti vari d'argomento scientifico. La sua fama crescente lo richiamò a Palermo, conteso dalle dame dell'aristocrazia nei loro salotti. Sensibile alla bellezza femminile, questo singolare medico-poeta ebbe vari amori che cantò alla maniera arcadica nelle sue Odi e nelle Canzonette, che sarebbero state imitate da tanti poeti come il Goethe, il Leopardi e il Foscolo e tutta la serie dei poeti dialettali siciliani.

Completata la Bucolica, in cui imitando “lu sulu Grecu Siculu” di Teocrito di Siracusa, vissuto nel III secolo a.C. canta “li campagni, l'armenti e li pasturi” immaginando nelle varie stagioni dialoghi pastorali, si cimentò addirittura col poemetto eroicomico Don Chisciotte e Sancio Panza, trasferendo in Sicilia e in versi la trama del libro dello spagnolo Miguel de Cervantes. Nel 1787 pubblicò la raccolta delle sue opere in cinque volumi col titolo di Poesie Siciliane.

Intanto, grazie anche alla protezione del viceré Caramanico succeduto al Caracciolo a cui avrebbe dedicato un'ode famosa (1780), divenne professore di chimica presso l'Università e venne chiamato a far parte come socio onorario delle più importanti accademie italiane come quella di Siena (1801) e quella peloritana di Messina. Tuttavia non fu mai ricco e negli ultimi decenni del secolo furti e vicende familiari sfortunate lo costringevano a bussare alla porta dei potenti, come Giuseppe Parini nell'ambiente milanese.

Nel 1810 Ferdinando III di Toscana gli concesse una pensione annua, ma nel 1815, dopo le rivolte giacobine gliel'avrebbe sospesa. Intanto nel 1814 venivano pubblicate a Palermo a cura dello stesso autore Poesie siciliane, comprendenti le Favuli Murali dove prendendo talvolta spunto da Esopo e Fedro il poeta palermitano dimostra la sua bravura, con fine arguzia e umorismo tutto siciliano. Morì a Palermo il 20 dicembre 1815, mentre l'Europa dei Lumi assisteva al concludersi della vicenda napoleonica.

Alla sua penna si devono i versi in cui ricordava la frode libraria dell'abate maltese Giuseppe Vella, ricordati da Michele Amari nella sua Storia dei Musulmani di Sicilia:

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