Alberto Di Pisa

Alberto Di Pisa (Pietrasanta, 1º ottobre 1943) è un magistrato italiano.

Nel 1971 è stato pretore a Castelvetrano e poi a Palermo. Sostituto procuratore della Repubblica al tribunale del capoluogo siciliano, dal 1982 fece parte del Pool antimafia, ideato da Rocco Chinnici per tutti gli anni 80, ed è stato tra i giudici che istruirono il maxiprocesso di Palermo. È stato anche procuratore generale aggiunto a Palermo.

Fu, suo malgrado, uno dei protagonisti della vicenda del "Corvo di Palermo": il giudice fu condannato nel 1992 in primo grado a un anno e sei mesi perché nel 1989 l'Alto commissario per la lotta alla mafia Domenico Sica indicò fosse sua l'impronta digitale lasciata su uno dei messaggi anonimi di accuse inviati ai magistrati Giovanni Falcone, Giuseppe Ayala e Pietro Giammanco, al capo della polizia Vincenzo Parisi e al questore Gianni De Gennaro. Nel frattempo nel 1989 Di Pisa era stato trasferito d'ufficio a Messina e dopo la condanna sospeso dal servizio. È stato assolto definitivamente nel dicembre 1993 "per non aver commesso il fatto". Anni dopo Di Pisa dichiarò che le sue impronte furono falsificate per coprire il pentito Totuccio Contorno.

Viene nominato dal CSM procuratore della Repubblica di Termini Imerese nel 2003 e nel 2008 di quella di Marsala, che era stata guidata da Paolo Borsellino. Nel 2010 e nel febbraio 2015 gli sono stati inviati messaggi di minacce insieme a proiettili.

Lascia la magistratura per limiti d'età il 31 dicembre 2015.

Nella cronaca italiana degli ultimi anni non sono mancati i casi di morti sospette (quasi sempre per qualcuno “opportune”) che hanno riguardato appartenenti alle Forze dell’Ordine: in particolare vertici dei Carabinieri, della Polizia, della Guardia di Finanza, dell’esercito e dei servizi segreti. Si tratta di morti che si verificano con inquietante regolarità quando è in atto uno scontro di concorrenti in situazioni di potere o riguardanti personaggi a conoscenza di fatti che coinvolgono vertici militari e politici. In una sequenza crescente di scomparse improvvise, attentati mascherati da incidenti o suicidi annunciati dalla dinamica sempre meno chiara. Come se in molte vicende centrali che hanno attraversato il nostro Paese l’eliminazione fisica e misteriosa di qualcuno fosse il modo privilegiato per risolvere conflitti di potere, alimentando una sensazione di incertezza funzionale alla sopravvivenza di strutture inconfessabili che tuttavia reggono la vita pubblica. In tutti i casi analizzati ci si trova alla presenza di una verità processuale a fronte della quale permangono interrogativi non risolti che potrebbero portare a conclusioni diverse, soprattutto quando su molte di queste morti aleggiano presenze concretissime ma evanescenti (dalla Loggia segreta P2 di Licio Gelli ai settori deviati dei servizi segreti). Al lettore il compito di affrontare una sfida interpretativa che è al tempo stesso esercizio di critica storica, sociale e politica.

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