Sellerio Editore Palermo


copertina del libro Riccardino - Edizione Speciale 2005/2016 / Andrea Camilleri di Andrea Camilleri IN PROMOZIONE

Anno 2005: Camilleri ha appena pubblicato La luna di carta. Sta lavorando alla successiva avventura della serie, ma in estate consegna a Elvira Sellerio un altro romanzo con protagonista il commissario Montalbano. Si intitola Riccardino. L’accordo è che verrà pubblicato poi, un domani indefinito, si sa solo che sarà l’ultimo romanzo della saga Montalbano.
Anno 2016. Sono passati 11 anni durante i quali sono usciti 15 libri di Montalbano. Andrea Camilleri sente l’urgenza di riprendere quel romanzo, che è venuta l’ora di «sistemarlo». Nulla cambia nella trama ma solo nella lingua che nel frattempo si è evoluta. Né muta il titolo che allora considerava provvisorio ma al quale ormai si è affezionato e che nel 2016 decide essere definitivo. Un titolo così diverso da quelli essenziali ed evocativi e pieni di significato ai quali siamo abituati, in cui risuonano echi letterari: La forma dell’acqua, Il giro di boa, Il ladro di merendine, L’altro capo del filo. Ma Riccardino segna quasi una cesura, una fine, ed è giusto marcare la differenza sin dal titolo.
Ma come è nata l’idea, e soprattutto perché.
Racconta Andrea Camilleri in una vecchia intervista che a un certo punto si era posto il problema della «serialità» dei suoi romanzi, dilemma comune a molti scrittori di noir, che aveva risolto decidendo di fare invecchiare il suo commissario insieme al calendario, con tutti i mutamenti che ciò avrebbe comportato, del personaggio e dei tempi che man mano avrebbe vissuto. Ma poi, aggiunge, «mi sono pure posto un problema scaramantico». I suoi due amici scrittori di gialli, Izzo e Manuel Vázquez Montálban, che volevano liberarsi dei loro personaggi, alla fine erano morti prima di loro. Allora «mi sono fatto venire un’altra idea trovando in un certo senso la soluzione».
Ecco: la soluzione la scopriranno i suoi tantissimi affezionati lettori di questo Riccardino che pubblichiamo ricordando Andrea Camilleri con grande gratitudine.

Di questo romanzo viene pubblicata anche una edizione speciale in cui vengono presentate entrambe le versioni del romanzo, quella del 2005 e quella definitiva. Il lettore potrà così seguire i mutamenti di quella lingua individuale, unica, inventata da Andrea Camilleri e la sua evoluzione nel corso del tempo. Una sperimentazione alla quale lo scrittore teneva moltissimo e che viene resa così evidente dal confronto tra le due versioni.

«Vorrei innanzitutto spiegare perché, in me, è nata la necessità di porre fine a questo personaggio. Ho scoperto che questa sensazione è comune a molti autori di libri gialli che scrivono di personaggi seriali. Arrivati a un certo punto, la serialità stanca. Il rischio grossissimo in cui può incorrere uno scrittore è la ripetitività del protagonista. Cioè che finisca per rifare le stesse cose. Anch’io stavo per correre lo stesso rischio. Però mi sono salvato in corner con tutta questa storia dell’invecchiamento e dei mutamenti del mio personaggio. Dell’essere dentro una realtà mutante, perciò mortificante, per il personaggio stesso. Questa mia soluzione, invece, lo rende vivo; lo rende diverso. Per altri scrittori è stato assai più difficile. Poi mi sono pure posto un problema scaramantico. Nella vita ho avuto due carissimi amici, scrittori di gialli. Uno era il francese Jean Claude Izzo, di Marsiglia, l’inventore di un Commissario dal nome italianissimo: Fabio Montale. L’altro era Manolo Vázquez Montalbán. Izzo decise un giorno di abbandonare il suo personaggio e lo fece mentre, nella storia, il protagonista si trovava gravemente ferito, in balìa delle onde, su di una barca. Montale, alla fine del racconto, avrebbe potuto salvarsi o non salvarsi. All’autore decidere in futuro che cosa fare! Come fece per esempio Arthur Conan Doyle con il suo personaggio di Sherlock Holmes, che a un certo punto finisce in un burrone. Poi, in seguito alle proteste dei lettori, lo tirò nuovamente fuori, riportandolo in vita. Queste, per inciso, sono cose che noi autori possiamo permetterci di fare, un po’, come Dio!
Il povero Manolo Vázquez Montalbán, anche lui, per esempio, voleva liberarsi del suo Pepe Carvalho e invece andò a finire che tanto Izzo che Manolo sono morti prima dei loro personaggi. Allora mi sono detto: “Col cavolo che faccio morire il mio personaggio!”. Queste sono cose che sto raccontando un po’ per scherzo ma anche un po’ seriamente. Mi pareva un po’ assurdo che un personaggio, nato letterariamente, morisse “sparato” oppure, alla fine di tutte le indagini, di tutte le avventure, andasse in pensione. Così mi sono fatto venire un’altra idea, trovando in un certo senso la soluzione.
Ho ottant’anni passati e a questa età è sempre meglio mettere da parte tutto quello che si trova. Quindi mi sono trovato a scrivere questo romanzo che rappresenta il capitolo finale di Montalbano; l’ultimo libro della serie. E l’ho mandato al mio editore dicendo di tenerlo in un cassetto e di pubblicarlo solo quando non ci sarò più. L’ultima indagine di Montalbano in realtà non è proprio l’ultima. Perché nel frattempo io continuo a scrivere e ho pubblicato e pubblicherò ancora altri libri del mio Commissario».
Andrea Camilleri, la Repubblica, agosto 2007

€ 19,00 € 20,00
copertina del libro La notte della svastica / Katharine Burdekin (Murray Costantine) / con una nota di Domenico Gallo / traduzione di Alfonso Geraci di Katharine Burdekin SCONTO DEL 5%

Prima del Racconto dell’ancella di Margaret Atwood, prima di Philip K. Dick, c’era La notte della svastica. Pubblicato nel 1937 racconta una storia che era ancora tutta da scrivere proiettandoci in un mondo in cui i nazisti hanno vinto e creato un impero, la donna è ridotta ad una macchina finalizzata a procreare soldati, memoria e identità personali demoni da distruggere.

Il Nazismo ha trionfato. Settecento anni dopo il pianeta si trova diviso in due soli potenti domini: l’impero tedesco e l’impero giapponese. E nella parte tedesca si trova aggiogato a un’assurda religione, imposta dall’abolizione della memoria e nata dall’oblio di ogni scienza e tecnologia, arte, letteratura e filosofia. Il nuovo Credo ha deificato Hitler, trasformato in un dio mitologico, «non nato da grembo di donna, ma esploso dalla testa del padre suo, Dio del Tuono». Un mondo brutalizzato e brutale, ritornato a una specie di feudalesimo mistico, di cui le prime vittime, che non si possono del tutto eliminare, sono le donne. Eppure qualcuno, nella lunga notte dei secoli, è riuscito a custodire un barlume della memoria (un libro, una fotografia), estremo antidoto, ultimo riparo contro l’annichilimento dell’umano.
La notte della svastica fu scritto, incredibilmente, nel 1937, cioè prima della Seconda guerra mondiale e prima dell’alleanza bellica tra il Giappone e la Germania. Immagina e prevede l’una e l’altra. E comprende del Nazismo un carattere che verrà rilevato decenni dopo: il legame strutturale tra il totalitarismo e il misticismo irrazionale. Ma è forse il tema del rapporto tra biologia e potere, tra violenza e sessualità, quello che emerge in modo più inquietante dalle pagine di questa scrittrice: la riduzione della donna ad una macchina finalizzata a procreare soldati, il disprezzo misogino, la distruzione di memoria e identità personali anticipano e piantano le radici della futura fantascienza femminista (alla Atwood, per esempio). Dietro le sue spalle ci sono Wells, Huxley e le altre ucronie e distopie. E prima del 1984 di George Orwell (che uscirà nel 1948) inscena gli effetti di una società in cui la Storia è stata abolita.

€ 14,25 € 15,00
copertina del libro Le canaglie di Angelo Carotenuto SCONTO DEL 5%

Le canaglie è la storia corale di un gruppo di giovani e del Paese spaccato in cui la loro vicenda prende vita. Quel gruppo è la squadra di calcio più folle che sia mai esistita in Italia, la Lazio dei maledetti, che in poco più di cinque anni, fra l’ottobre 1971 e il gennaio 1977, supera gli avversari in campo ma finisce per distruggere se stessa, passando dalla serie B allo scudetto – nella domenica in cui gli italiani votano per il divorzio – e proiettata verso un epilogo che nessuno poteva immaginare.
Sono loro le canaglie, calciatori ventenni che girano armati, si lanciano con il paracadute, scatenano risse al cinema e al ristorante, fuggono dai ritiri per andare al night. Una compagnia di irregolari divisa in due bande: dal lunedì al sabato sono nemici, la domenica diventano fratelli, uno di fianco all’altro, con la maglia biancoceleste. Le canaglie arrivano al successo facendosi la guerra, tramando, sparandosi addosso, ribaltando amicizie e legami. Stanno cominciando gli anni di piombo e la strategia della tensione, l’Italia stessa del resto è divisa e vive la nascita e l’ascesa delle Brigate Rosse, gli omicidi politici, il caso Pasolini, l’uccisione dei magistrati Coco e Occorsio. Si infiammano le battaglie per divorzio e aborto, nascono le radio libere, nelle curve gli ultrà organizzano e dominano l’urlo delle tifoserie. Il ruolo di blandire il Paese ce l’ha la tv: CanzonissimaCaroselloRischiatutto.
Angelo Carotenuto per raccontare tutto questo, per trasformarlo in romanzo e letteratura, inventa la voce mesta e malinconica, ironica e coinvolgente, di Marcello Traseticcio, fotografo di un quotidiano popolare della capitale e testimone del suo tempo, quando da paparazzo della Dolce Vita si è dovuto riciclare come reporter di nera e di sport. Attraverso di lui i ricordi si mescolano alla cronaca, il resoconto reale degli anni Settanta di Roma e dell’Italia si specchia nel desiderio di una gioventù che cercò di spezzare e di rifare il mondo. Le canaglie è un’epopea trascinante che si immerge in un capitolo enigmatico e controverso della nostra storia, è il diario intimo di uomini e donne famelici e senza scrupoli, un’elegia di cose e di vite perdute, priva di rimpianti.

€ 15,20 € 16,00
copertina del libro Ogni riferimento è puramente casuale - Sellerio di Antonio Manzini SCONTO DEL 5%

«Eppure quando aveva cominciato a lavorare nell’editoria le intenzioni erano altre. I libri servono. I libri sono i mattoni di una società, si diceva, i libri sono la barriera al pensiero unico, ai terrorismi teocratici, ai pensieri acritici, i libri sono l’ancora di salvezza e il livello di civiltà di una società. I libri siamo noi, ci rappresentano, pensiamo e viviamo perché ci sono dei libri da leggere. Tutti i figli di puttana del mondo si sono scagliati contro i libri, contro la libertà di esprimersi, di dire quello che si ha nel cuore, anche se inviso ai potenti, anche se contrario alle dittature. [...] E adesso? Rendicontazioni, grande distribuzione, grafica accattivante, quarta di copertina, sconto editoriale, in una parola: marketing».

Tra realismo grottesco e thriller psicologico sette racconti sull’industria culturale, critici, sarcastici, che idealmente si ricollegano alla visione polemica di Sull’orlo del precipizio contro il cinismo e la speculazione che minacciano la libertà dei libri; ma in essi soprattutto si sente l’inventiva di un grande scrittore e la capacità di attrarre e imprigionare nella purezza del raccontare.

€ 12,35 € 13,00
copertina del libro Il Cuoco dell SCONTO DEL 5%

Tutto è indecidibile, sogno e realtà, vero e falso, maschera e volto, farsa e tragedia, allucinazione e organizzata teatralità di mosse e contromosse beffarde, in questo thriller che impone al lettore, tallonato dal dubbio e portato per mano dentro la luce fosca e i gomiti angustiosi dell’orrore, una lettura lenta del ritmo accanito dell’azione. Tutti si acconciano a recitare, nel romanzo: che si apre drammaticamente con i licenziamenti degli impiegati e degli operai di una fabbrica di scafi gestita da un padroncino vizioso e senza ritegno, detto Giogiò; e con il suicidio, nello squallore di un capannone, di un padre di famiglia disperato. Da qui partono e si inanellano le trame macchinose e la madornalità di una vicenda che comprende, per «stazioni», lo smantellamento del commissariato di Vigàta, la solitudine scontrosa e iraconda del sopraffatto Montalbano, lo sgomento di Augello e di Fazio (e persino dello sgangherato Catarella), l’inspiegabile complotto del Federal Bureau of Investigation, l’apparizione nebbiosa di «’na granni navi a vela», Alcyon, una goletta, un vascello fantasma, che non si sa cosa nasconda nel suo ventre di cetaceo (una bisca? Un postribolo animato da escort procaci? Un segreto più inquietante?) e che evoca tutta una letteratura e una cinematografia di bucanieri dietro ai quali incalza la mente gelida di un corsaro, ovvero di un più aggiornato capufficio dell’inferno e gestore del delitto e del disgusto. «L’Alcyon [...] aviva la bella bitudini di ristari dintra a un porto il minimo ’ndispensabili e po’ scompariri».
Il romanzo ha, nella suggestione di un sogno, una sinistra eclisse di luna che incombe (detto alla Bernanos) su «grandi cimiteri». La tortuosità della narrazione è febbrile. Prende il lettore alla gola. Lo disorienta con le angolazioni laterali; e, soprattutto, con il tragicomico dei mascheramenti e degli equivoci tra furibondi mimi truccati da un mago della manipolazione facciale. Sorprendente è il duo Montalbano-Fazio. Il commissario e l’ispettore capo recitano come due «comici» esperti. «Contami quello che capitò», dice a un certo punto Montalbano a Fazio. E in quel «contami» si sente risuonare un antico ed epico «cantami»: «Cantami, o Diva, del pelide Achille l’ira funesta che infiniti addusse lutti agli Achei [...]».
Il cuoco dell’Alcyon è «una Iliade di guai».

€ 13,30 € 14,00
copertina del libro Dodici rose a settembre di Maurizio de Giovanni SCONTO DEL 5%

«Mi chiamo Flor, ho undici anni, e sono qui perché penso che mio padre ammazzerà mia madre».
Gelsomina Settembre detta Mina, assistente sociale di un consultorio sottofinanziato nei Quartieri Spagnoli di Napoli, è costretta a occuparsi di casi senza giustizia.
La affiancano alcuni tipi caratteristici con cui forma un improvvisato, e un po’ buffo, gruppo di intervento in ambienti dominati da regole diverse dall’ordine ufficiale. Domenico Gammardella «chiamami Mimmo», bello come Robert Redford, con un fascino del tutto involontario e una buona volontà spesso frustrata; «Rudy» Trapanese, il portiere dello stabile che si sente irresistibile e quando parla sembra rivolgersi con lo sguardo solo alle belle forme di Mina; e, più di lato, il magistrato De Carolis, antipatico presuntuoso ma quello che alla fine prova a conciliare le leggi con la giustizia.
Vengono trascinati in due corse contro il tempo più o meno parallele. Ma di una sola di esse sono consapevoli. Mentre Mina, a cui non mancano i problemi personali, si dedica a una rischiosa avventura per salvare due vite, un vendicatore, che segue uno schema incomprensibile, stringe intorno a lei una spirale di sangue. La causa è qualcosa di sepolto nel passato remoto.
Il magistrato De Carolis deve capire tutto prima che arrivi l’ultima delle dodici rose rosse che, un giorno dopo l’altro, uno sconosciuto invia.
Mina Settembre e gli altri sono figure che Maurizio de Giovanni ha già messo alla prova in un paio di racconti. In Dodici rose a Settembre compaiono per la prima volta in un romanzo. Sono maschere farsesche sullo sfondo chiassoso di una città amara e stanca di tragedie. Un mondo di fatica del vivere che de Giovanni riesce a far immaginare, oltre all’intreccio delle storie, già solo con il linguaggio parlato dai vari personaggi di ogni strato sociale: ironico, idiomatico, paradossale, immaginoso.

€ 13,30 € 14,00
copertina del libro Fate il vostro gioco di Antonio Manzini SCONTO DEL 5%

«Non ci abbiamo capito niente, Deruta. Forza, al lavoro».
Due coltellate hanno spento la vita di Romano Favre, un pensionato del casinò di Saint-Vincent, dove lavorava da «ispettore di gioco». Il cadavere è stato ritrovato nella sua abitazione dai pochi vicini di casa dell’elegante palazzina, e serra in mano una fiche, però di un altro casinò. Rocco Schiavone capisce subito che si tratta «di un morto che parla» e cerca di decifrare il suo messaggio. Si inoltra nel mondo della ludopatia, interroga disperati strozzati dai debiti, affaristi e lucratori del vizio, amici e colleghi di quel vedovo mite e ordinato. Individua un traffico che potrebbe spiegare tutto; mentre l’ombra del sospetto sfiora la sua casa e i suoi affetti. Ed è ricostruendo con la sua professionalità la tecnica dell’omicidio, la scena del delitto, che alla fine può incastrare l’autore. Ma il morto è riuscito a farsi capire? Forse non basta scavare nel passato: «Favre ha perso la vita per un fatto che deve ancora accadere».
Il successo dei libri di Antonio Manzini deve probabilmente molto al loro andare oltre la semplice connessione narrativa tra una cosa (il delitto) un chi (il colpevole) e un perché (il movente). Con le inchieste del suo ruvido vicequestore, Manzini stringe il sentire del lettore a una vicenda umana complessa e completa. Così i suoi noir sono in senso pieno Romanzi, racconto delle peripezie di un personaggio che vale la pena di conoscere, sentieri esistenziali. Sono, messi uno dietro l’altro, la storia di una vita: Rocco Schiavone, un coriaceo malinconico che evolve e cambia nel tempo, mentre lavora, ricorda, prova pietà e rabbia, sistema conti privati e un paio di affari. Sicché, in Fate il vostro gioco, il vicequestore riconosce apertamente un semifallimento: ha smascherato il criminale ma troppe cose non tornano. Resta un buco nella sua consapevolezza che gli rimorde come una colpa, e deve colmarlo. Lo farà, si ripromette, la prossima volta e, per il lettore, nella prossima avventura.

€ 14,25 € 15,00
copertina del libro La clinica Riposo & pace. Commedia nera n. 2 - Francesco Recami di Francesco Recami SCONTO DEL 5%

La clinica Riposo & Pace sorge in un luogo ameno su ridenti colline, dove è tutto un cinguettar di uccellini su prati tosati a dovere, gli edifici lindi e luminosi, il personale amabile. Proprio in fondo al parco si intravede un padiglione un po’ appartato; è lì che Riposo & Pace si trasforma in stress e conflitto, una vera e propria lotta per la sopravvivenza.
Alfio Pallini viene portato con la forza e con l’inganno nella villa dagli affezionati nipoti, ridotto all’impotenza si accorge ben presto dove sia capitato, sedazioni su sedazioni, personale robusto e convincente, legacci e sbarre. Quel che più inquieta l’arzillo vecchietto è che il suo vicino di letto cambi di continuo, i nuovi arrivati non fanno in tempo ad ambientarsi che vengono portati via coperti da un lenzuolo bianco. Alfio, che già progettava la fuga, diventa ancor più sospettoso, nasconde i farmaci, va curiosando, origlia le chiacchiere delle dispotiche infermiere, cerca di mettersi in contatto con il suo antico badante, l’unica persona di cui si fidi, colui che potrebbe fargli guadagnare l’agognata libertà. Non demorde, non si arrende, e le sue reazioni allarmano medici e inservienti che decidono di procedere con maniere forti e definitive. Ma qui avviene quel che non ti aspetti.
Questa parodia fantastica e feroce, che mette alla berlina la medicalizzazione del disagio quotidiano, l’ipocrita rivalutazione dei valori dell’essere anziani, la buona morte, i falsi affetti familiari, è uno dei momenti di un progetto narrativo più vasto. Con la serie «Commedia nera» (pezzi di teatro narrato, che si svolgono in un solo luogo) Francesco Recami prende a bersaglio della sua comicità i paradossi sociali più evidenti e più fastidiosi dell’epoca. Secondo lui, il ghigno e la risata raggiungono l’amaro esistenziale del nostro essere sociale meglio di ogni retorica drammatica. E l’effetto di «ridere piangendo» che danno le sue pagine sembra dargli ragione.

€ 13,30 € 14,00
copertina del libro Il metodo Catalanotti di Andrea Camilleri SCONTO DEL 5%

Il commissario Montalbano crede di muoversi dentro una storia. Si accorge di essere finito in una storia diversa. E si ritrova alla fine in un altro romanzo, ingegnosamente apparentato con le storie dentro le quali si è trovato prima a peregrinare. È un gioco di specchi che si rifrange sulla trama di un giallo, improbabile in apparenza e invece esatto: poco incline ad accomodarsi nella gabbia del genere, dati i diversi e collaborativi gradi di responsabilità, di chi muore e di chi uccide, in una situazione imponderabile e squisitamente ironica. Tutto accade in una Vigàta, che non è risparmiata dai drammi familiari della disoccupazione; e dalle violenze domestiche. La passione civile avvampa di sdegno il commissario, che ricorre a una «farfantaria» per togliere dai guai una giovane coppia di disoccupati colpevoli solo di voler metter su una famiglia. Per quanto impegnato in più fronti, Montalbano tiene tutto sotto controllo. Le indagini lo portano a occuparsi dell’attività esaltante di una compagnia di teatro amatoriale che, fra i componenti del direttorio, annovera Carmelo Catalanotti: figura complessa, e segreta, di artista e di usuraio insieme; e in quanto regista, sperimentatore di un metodo di recitazione traumatico, fondato non sulla mimèsi delle azioni sceniche, ma sull’identificazione delle passioni più oscure degli attori con il similvero della recita. Catalanotti ha una sua cultura teatrale aggiornata sulle avanguardie del Novecento. È convinto del primato del testo. E della necessità di lavorare sull’attore, indotto a confrontarsi con le sue verità più profonde ed estreme. Il romanzo intreccia racconto e passione teatrale. Nel corso delle indagini, Montalbano ha la rivelazione di un amore improvviso, che gli scatena una dolcezza irrequieta di vita: un recupero di giovinezza negli anni tardi. Livia è lontana, assente. Sulla bella malinconia del commissario si chiude questo possente romanzo dedicato alla passione per il teatro (che è quella stessa dell’autore) e alla passione amorosa. Un romanzo, tecnicamente suggestivo, che una relazione dirompente racconta in modo da farle raggiungere il più alto grado di combustione nei versi di una personale antologia di poeti; e, all’interno della sua storia, traspone i racconti dei personaggi in colonne visive messe in moviola perché il commissario possa farle scorrere e rallentare a suo piacimento.        Salvatore Silvano Nigro

€ 13,30 € 14,00
copertina del libro CONGIURA DEI LOQUACI - SAVATTERI di Gaetano Savatteri SCONTO DEL 5%

Una comunità in cui l’omertà è regola aurea improvvisamente comincia a parlare, ad accusare. Che gioco sociale c’è dietro, che concetto di giustizia?
Nel novembre del 1944 a Racalmuto, il paese di Sciascia e di Gaetano Savatteri, viene ucciso il sindaco durante la passeggiata serale, di fronte a molti testimoni. Invece di tacere come norma e obbligo in tali circostanze, costoro diventano loquaci e tutti accusano uno zolfataro, un personaggio odioso soprannominato Centoedieci, che presto viene giudicato e condannato. Eppure è tanto evidente a tutti la sua innocenza che ne nasce un detto nel paese: Tantu paga Centoedieci.
Sul fatto vero accaduto nel periodo torbido e confuso seguito allo sbarco angloamericano in Sicilia è costruito questo «romanzo senza passione» che vuole riflettere e scoprire.
«Ci sono pagine, in questo libretto, narrativamente di alto livello» ha scritto Andrea Camilleri. «Desidero segnalare almeno due momenti di forte intensità narrativa che rivelano in Savatteri un “raccontatore” di razza. Le pagine dedicate all’affannosa corsa dell’obeso Papandrè verso il Circolo di Mutuo Soccorso sfiorano quasi il pezzo di bravura. Altro discorso per il capitolo dedicato all’incontro casuale al circolo tra il tenente Adano e un giovane impiegato al Consorzio agrario che si chiama Nanà, che legge Shakespeare ed è facilissimamente identificabile in Leonardo Sciascia. L’incontro tra il tenente Adano (portavoce in un certo senso di Savatteri) e il giovane Sciascia è un momento alto del romanzo, è una sorta di confronto a distanza nel tempo tra due generazioni diverse. [...] E quindi questo romanzo finisce coll’affrontare un tema che è stato il rovello di Sciascia». La giustizia.
Pubblicato in altra collana di questa casa editrice nel 2000, La congiura dei loquaci è stato il primo romanzo di Gaetano Savatteri. 

€ 12,35 € 13,00
copertina del libro La cappella di famiglia di Andrea Camilleri SCONTO DEL 5%

La cronaca contorta e pazza di Vigàta è uno spinaio di furfanterie, sgangheratezze, deliramenti, e intrichi d’amore: un intreccio di balordaggini pubbliche e di magnifiche stolidezze private. Nel villaggio, l’innocenza è spesso un candore temerario, un’allucinazione; e l’onestà è il capolavoro di falsari della morale e del buonsenso caritativo. Lo stesso crimine è un refuso dell’intelligenza, una morbida beffa. E la tristezza nuda di un cimitero si presta agli esercizi di un petrarchismo peloso versato nel corteggiamento di una Lauretta in abiti vedovili e alla resa dei conti tra parenti. Il camposanto diventa una gremita e agitata piazza d’armi e d’amori. Ci si mette anche il caso, che porta a rovescio ciò che si vorrebbe fosse il dritto. Le apparenze ingannano. E la realtà contempla situazioni che proliferano. Gli amori clandestini fanno sì che si formino collezioni di famiglie. La strampalatezza eccitabile è una corrente elettrica incontrollata: accende reazioni a catena, contagi come da «epidemia»; assurdità ossimoriche del tipo: «Un morto si reca all’obitorio ma cade strada facendo». Un dono di natura è capace di distorcere un’intera vita, e trasformare l’eletto in una «macchina» digerente, priva di «cuore», di «cervello», di funzioni sessuali.
L’arco cronologico è lungo. Va dal 1862 al 1950, dopo avere attraversato l’aria viziata di stupidità e dissennatezza del ventennio nero. Gli otto racconti, o «storie» vigatesi, fanno libro. Si sostengono a vicenda. E sono unificati dal comune assoggettamento al regime della voce poderosa del narratore, che risuona dentro la scrittura. Presentano tutti un umorismo a lenta combustione, che non dirompe se non fuori dalle pagine, nelle reazioni dei lettori. Camilleri surriscalda le scene con accortezza, per liberare alla fine volatili delizie perfettamente godibili, estremamente divertenti. Raccoglie (nei racconti intitolati Lo stivale di Garibaldi e La rettitudine fatta persona) l’eredità del Boccaccio, grande coreografo di processioni dietro reliquie che sacre non sono; e gran fabbro della «santità» blasfema di ser Ciappelletto. E se l’improbabile santità del personaggio di Camilleri non produrrà miracoli com’era accaduto con la «devozione» di «san Ciappelletto», un «miracolo» letterario operò di sicuro la «reliquia» di Garibaldi: «lo stivale insanguinato del Generalissimo». Alle onoranze dedicate allo stivale, alla processione, presero parte due giovani che ebbero così modo di affiatarsi e di promettersi. Si chiamavano Caterina e Stefano. Si sposarono. Dal loro matrimonio nacque Luigi Pirandello.

€ 13,30 € 14,00
copertina del libro 7-7-2007 / Antonio Manzini di Antonio Manzini SCONTO DEL 5%

«Lo sai cosa lasciamo di noi? Una matassa ingarbugliata di capelli bianchi da spazzare via da un appartamento vuoto».
Rocco Schiavone è il solito scorbutico, maleducato, sgualcito sbirro che abbiamo conosciuto nei precedenti romanzi che raccontano le sue indagini. Ma in questo è anche, a modo suo, felice. E infatti qui siamo alcuni anni prima, quando la moglie Marina non è ancora diventata il fantasma del rimorso di Rocco: è viva, impegnata nel lavoro e con gli amici, e capace di coinvolgerlo in tutti gli aspetti dell’esistenza. Prima di cadere uccisa. E qui siamo quando tutto è cominciato.
Nel luglio del 2007 Roma è flagellata da acquazzoni tropicali e proprio nei giorni in cui Marina se ne è andata di casa perché ha scoperto i «conti sporchi» di Rocco, al vicequestore capita un caso di bravi ragazzi. Giovanni Ferri, figlio ventenne di un giornalista, ottimo studente di giurisprudenza, è trovato in una cava di marmo, pestato e poi accoltellato. Schiavone comincia a indagare nella vita ordinata e ordinaria dell’assassinato. Giorni dopo il corpo senza vita di un amico di Giovanni è scoperto, in una coincidenza raccapricciante, per strada. Matteo Livolsi, questo il suo nome, è stato finito anche lui in modo violento ma stavolta una strana circostanza consente di agganciarci una pista: non c’è sangue sul cadavere. Adesso, l’animale da fiuto che c’è dentro Rocco Schiavone può mettersi, con la spregiudicatezza e la sete di giustizia di sempre, sulle tracce «del figlio di puttana che ha accoltellato due ventenni alla base del cranio». Ma se fosse la storia di un balordo solitario, sarebbe troppo liscia. Rocco invece ha un appuntamento con il fato tragico, e non sa di averlo. E quell’appuntamento gli lascia in eredità un nemico appostato quasi dieci anni dopo, quando, finito il ricordo, si ritorna al presente e Rocco ha da chiudere definitivamente il caso.
Il ritmo dei noir di Antonio Manzini dà il senso di un meccanismo dai mille ingranaggi che non perde mai un colpo, che gira all’unisono col travaglio esistenziale di un personaggio che resta nella mente, mentre lo sguardo di chi lo muove si posa critico e triste sulla realtà sociale dei tempi che corrono.

€ 13,30 € 14,00
copertina del libro ERA DI MAGGIO - MANZINI di Antonio Manzini SCONTO DEL 5%

«Mettilo agli atti, Italo. In una notte di maggio, alle ore una e dieci, al vicequestore Rocco Schiavone piomba addosso una rottura di decimo grado!». Gli agenti del commissariato di Aosta, che stanno imparando a convivere con la scorza spinosa che ricopre il suo cuore ferito, scherzano con la classifica delle rotture del loro capo, in cima alla quale c’è sempre il caso su cui sta indagando. Ma Rocco è prostrato per davvero. Una donna è morta al posto suo, la fidanzata di un amico di Roma, «seccata» da qualcuno che voleva colpire lui. E quando esce dalla depressione si butta sulle tracce di quell’assassino tra Roma ed Aosta, scavando dolorosamente nel proprio passato, alla ricerca del motivo della vendetta, un viaggio nel tempo che è come una ferita che si apre su una piaga che non ha ancora smesso di sanguinare. Però le rotture sono solo cominciate: un altro cadavere archiviato all’inizio come infarto. Un altro viaggio che si inoltra stavolta nel presente dorato della città degli insospettabili.
In questo quarto romanzo, prosegue la serie dei polizieschi scabri, realistici e immersi nell’amara ironia di Rocco Schiavone.
Ma in realtà, attraverso le diverse avventure di un poliziotto politicamente scorretto, si svolge un unico racconto. Il racconto della vita di un uomo che si scontra con la impunita e pervasiva corruzione del privilegio sociale, nel disincanto assoluto dell’Italia d’oggi. Un personaggio brutale perché la tenerezza che lo anima sarebbe debolezza, incapace d’amare perché pieno di un amore totale per chi adesso è solo un fantasma, cinico perché la disonestà sembra aver vinto. Un personaggio di una verità e una profondità tali da sembrare che viva di vita propria.

€ 13,30 € 14,00
copertina del libro COSTOLA DI ADAMO - MANZINI di Antonio Manzini SCONTO DEL 5%

«Il vicequestore sorrise nel pensare alla somiglianza che sentiva tra lui e quel cane da punta». Rocco Schiavone ha la mania di paragonare a un animale ciascuna delle fisionomie umane che gli si para davanti. Ma più che il setter che gli suscita quell’accostamento, lui stesso fa venire in mente uno spinone, ispido, arruffato e rustico com’è: pur sempre, però, sottomesso all’istinto della caccia. È uno sbirro manesco e tutt’altro che immacolato, romano di conio trasteverino, con una piaga di dolore e di colpa che non può guarire. Ad Aosta, dove l’hanno trasferito d’ufficio, preferirebbe tenere le sue Clarks al riparo dall’acqua e godersi i suoi amorazzi, che non imbarcarsi in un’altra inchiesta piena di neve.
Una donna, una moglie che si avvicinava all’autunno della vita, è trovata cadavere dalla domestica. Impiccata al lampadario di una stanza immersa nell’oscurità. Intorno la devastazione di un furto. Ma Rocco non è convinto. E una successione di coincidenze e divergenze, così come l’ambiguità di tanti personaggi, trasformano a poco a poco il quadro di una rapina in una nebbia di misteri umani, ambientali, criminali.
Per dissolverla, il vicequestore Rocco Schiavone mette in campo il suo metodo annoiato e stringente, fatto di intuito rapido e brutalità, di compassione e tendenza a farsi giustizia da sé, di lealtà verso gli amici e infida astuzia. Soprattutto, deve accettare di sporgersi pericolosamente verso il mondo delle donne, a respirare il carattere insinuante, continuo, che assume la violenza quand’è esercitata su di loro. Ogni interrogatorio condotto da Schiavone accende la curiosità della prossima rivelazione, ogni suo passo sollecita l’attesa del nuovo indizio, mentre intorno si sparge contagiosa la crescente sua commozione, si trasmette il suo malumore, e si fa convincente il pessimismo sgorgato dal suo «baratro di tristezza».
Le storie nere con Rocco Schiavone restano impresse. Per la geometrica densità dell’intreccio; per la cesellatura minuziosa di un personaggio la cui immagine ha la forza di uscire dalla pagina.

€ 13,30 € 14,00
copertina del libro Inseguendo un SCONTO DEL 5%

Non è, questo, un romanzo d’ambiente; di costume. Non è un romanzo storico. È una potente azione narrativa. Se nel gioco degli scacchi l’obiettivo finale è catturare il re, le modalità operative e di ricerca di questa opzione strategica forzano il silenzio e le tenebre della storia, per affrontare il mistero di un’«ombra», penetrare nelle tante maschere di un volto che si può pensare ma non conoscere, catturare la personalità artificiosa di un protagonista di eventi reali che con infame talento si evolve su se stesso e sotto più nomi si tramuta; e restituire, infine, alle necessità del racconto, il lato oscuro, la metà notturna e fosforica della civiltà dell’Umanesimo raggiante di cultura. Qui Camilleri gioca a scacchi con l’imponderabile. Le strade del suo personaggio si moltiplicano, si confondono, si scambiano l’una con l’altra. Partono dalla giudecca di Caltabellotta, in Sicilia, e lungo il Quattrocento si inoltrano nei labirinti delle capitali, delle corti piccole e grandi, degli studioli umanistici, delle Accademie e delle Università; nella geografia politica della penisola italica e delle remote contrade di là delle Alpi. Il lettore fa il possibile per recuperare il fiato. Una pagina tira l’altra, vorticosamente. Tra vari avvisi di pericolosità e d’orrore, il protagonista del romanzo sprigiona intelligenza perversa, crudeltà e spietatezza. È un ebreo convertito, poliglotta: esperto soprattutto in lingue orientali. Il mondo si arrende alla sua oratoria. E lui aizza alla persecuzione e all’aggressione degli ebrei, predatore dei correligionari di una volta. Si fa traduttore e maestro di letteratura cabbalistica. Mette a disposizione degli umanisti (e fra essi Giovanni Pico della Mirandola) la kabbaláh ebraica. Ha una sua maniera gelida di ricorrere al delitto. E se talvolta la sua temperatura è umana, è perché si riscalda alla fermentazione dei desideri quando si incontra con ragazzi sgarbati o consenzienti, armati sempre di bellezza. Il romanzo segue fino alla sparizione (e non si sa se chiamarla disfatta, morte, uscita di scena, o cos’altro) l’arco della vita del protagonista, che all’inizio è un adolescente chiamato Samuel ben Nissim Abul Farag; e poi una sciarada di nomi, un emblema tricefalo dell’infamia, un enigma espugnabile solo con gli strumenti di una letteratura disposta ad accettare come centro il proprio bordo di finzione, prossima a essere un «falso» d’arte che svela le «falsità» del reale: «un falso, in quanto mistificazione d’una mistificazione, equivale a una verità alla seconda potenza». La frase citata da Camilleri è di Italo Calvino. Ed è la geometrizzazione di un principio barocco passato attraverso l’illuminismo del Consiglio d’Egitto di Leonardo Sciascia. Salvatore Silvano Nigro

€ 13,30 € 14,00
copertina del libro La banda Sacco di Andrea Camilleri SCONTO DEL 5%

«Ma c’era la mafia» – «Eccome, se c’era!»: a chiusura di capitolo e, a seguire, subito dopo, ad apertura di capitolo, come in una ntruccatura, in una concatenazione tra ottave siciliane. La sensazione è quella di una voce che racconta, sgraffiando le parole nell’aria e modulandole alla maniera di un cantastorie che, sul prospetto di un cartellone dipinto, va narrativizzando, riquadro dopo riquadro, la declamazione larga e sonora della vicenda. Ed è dentro questa simulazione di un genere popolare che si aggiorna il modello giudiziario della manzoniana Storia della Colonna Infame, con il suo andar contro le inchiostrature del romanzesco e porsi dietro il dorso delle cose, mescolando racconto e riflessione, dettagli e postille critiche: sempre stringendosi ai fatti, interrogando le contraddizioni dei «documenti», siano essi forniti dalle confessioni estorte con i ricatti e le violenze, dalle deposizioni dei presunti testimoni, da un memoriale, o dai risultati processuali; nella convinzione che la verità sfugge dietro l’angolo e viene affatturata dagli accusati che si fanno accusatori, dai causidici, dai metodi d’indagine talvolta barbarici, dal disporsi della giustizia da una parte e della politica dalla parte opposta.
Costante è, in questo racconto reale, il paesaggio di una Sicilia rurale: le pietraie, le fratte rocciose, i pascoli; la magia botanica dei pistacchieti con i loro fiori unisessuali, le promesse di notti arabe del sambuco che tra le foglie nasconde le cantaridi, le cantilene degli stagionali che hanno già attraversato le scene «campestri» di Pirandello. All’inizio, nel secondo Ottocento, c’è il patriarca Luigi Sacco, bracciante d’ingegno e passione. Vengono poi i discendenti, grandi lavoratori tutti, e socialisti, tra emigrazione transoceanica e chiamata alle armi nella Grande Guerra, malversazioni e canaglierie di rozzi capimafia con alle spalle pupari altolocati, che prosperano nella latitanza dello Stato e sanno come avvantaggiarsi nella tragica notte del fascismo, nonostante il pugno di ferro del prefetto Mori (e grazie ad esso, anzi) che seppe abbattersi anche sui comuni oppositori politici. I cinque fratelli Sacco conoscono la disperazione a vivere in un regime di mafia. Si danno alla latitanza. Si sentono investiti di un ruolo di supplenza nella lotta (armata) contro i persecutori mafiosi. Diventano giustizieri solitari, nel silenzio ottuso dell’omertà: cittadini eslègi di uno Stato che non ha saputo garantirli. Vengono arrestati, processati, e inventati come «banditi» e predoni d’assalto. In carcere conoscono l’antifascismo. Incontrano Umberto Terracini e incrociano Gramsci.
Il succo della storia, di questo western nostrano di onest’uomini indotti e costretti a farsi vendicatori, è di declinazione manzoniana: «I provocatori, i soverchiatori, tutti coloro che, in qualunque modo, fanno torto altrui, sono rei, non solo del male che commettono, ma del pervertimento ancora a cui portano gli animi degli offesi».   

€ 12,35 € 13,00
copertina del libro Gran circo Taddei e altre storie di Vigata di Andrea Camilleri SCONTO DEL 5%

Fanno diversa via, in quel di Vigàta, la voglia e il piede. Uno scherzo del caso, repentino e inaspettato, si intromette sempre. Disorienta i nodi d’intrigo e li rende stridenti. Interrompe la banale prevedibilità dei fatti, un poco infimi spesso, o un poco ignobili, e magnanimi di rado; e li investe di diritto e di traverso, per celia o per scorno. Ne devia gli esiti e li rovescia. E trascorre dalla malasorte, al dispetto, alla vendetta fatale; dallo sgambetto, allo sberleffo, alla beffa. Il tutto declinando, ora andando indietro e ora avanti nel tempo, dalle superfetazioni eroiche e dal bellicismo virile di un falloide beccamorto, con la ganascia alla folla e la lucida cuticagna, il Duce il Duce; da una dichiarazione di guerra, insomma, che invocava braccia per i fucili e gioventù feconda da contrapporre alla sterilità dei popoli «volgenti al tramonto». L’«ora segnata dal destino» sviò, in quel brano d’Italia che è Vigàta, la favolaccia imperiale dello spaccamondo. Una provvidenza eroicomica, che agiva a contrappasso, investì i «combattenti» di una nuova missione. Caricò erezioni di fucili. Bonificò i letti sterili, che negavano il dovuto tributo alla patria fascista e disonoravano gerarchi e gerarchetti. Seminò corna, che non era possibile potare. Capitò pure, in quella festa grossa, tra malignazze che avevano il coraggio delle sciocchezze, che una «vasta congiura comunista» si rivelasse, al contrario, un’ardimentosa «congiura fascista». Un leone, che non ruggiva e perdeva il pelo, non riuscì, mentre attorno a lui i camerati andavano armando quisquilie campanilistiche, a far morire di spavento la vittima designata; eppure, per ironia della sorte, seppe entrare e impiantarsi negli incubi e nelle ossessioni di più persone. Era pur sempre il re della foresta. Tempo dopo, a liberazione avvenuta, il più «arraggiato» dei comunisti si lasciò ammansire e convertire dalla secchiata d’acqua di un ateo mattacchione travestito da Gesù Cristo benedicente. Il comunista si strinse al rosario. A Vigàta i comunisti perdettero le elezioni, e quasi scomparvero dalla vita politica. L’ateo liberale morì strozzato dalle risate. Sono otto i racconti che qui fanno libro e non semplice raccolta. Sono cronache e quasi apologhi, non si sa fino a che punto sempre e veramente d’altri tempi. Gli orologi di Camilleri sono molli. E i racconti sanno alzare e abbassare il tono. Non disdegnano neppure le scene pazze, cinematograficamente costruite, alla Quentin Tarantino. Sono racconti, questi, che non eludono il grande romanzo di Vigàta. Vi contribuiscono anzi, secondo una precisa progettazione  (Salvatore Silvano Nigro).

€ 13,30 € 14,00
copertina del libro La caccia al tesoro di Andrea Camilleri SCONTO DEL 5%

Un torpore inerte ha invaso il commissariato di Vigàta: un tedio strascicato. Ammortisce pure il trallerallera di Catarella, che adesso incespica tra rebus e cruciverba. Montalbano legge un romanzo di Simenon, e distratto va sfogliando una vecchia annata della «Domenica del Corriere»: al telefono continua il dài e ridài querulo e molesto della suscettibile fidanzata, lontana sempre, lontanissima. Eppure un diversivo c’era stato. Due anziani bigotti, fratello e sorella, a furia di preterìe e giaculatorie, avevano rincappellato pazzia sopra pazzia. La loro demenza era arrivata al fanatismo delle armi. E la sceriffata santa aveva lasciato sul campo uno strumento di passioni tristi e appassite: una bambola gonfiabile, disfatta dall’uso; una di quelle pupazze maritabili che (diceva Gadda) tu le «basci, e ci piangi sopra, e speri icchè tu voi. E, fornito il bascio, te tu la disenfi e riforbisci e ripieghi e riponi, come una camiscia stirata». Un’altra bambola gemella, ugualmente disfatta, ma data per cadavere di giovane seviziata, era stata trovata poi in un cassonetto della spazzatura, in via Brancati. Sembrò una stravaganza. Non ci si fece caso più di tanto. Tornò l’assopimento, vellicato appena dalla curiosità per delle anonime ed enigmistiche lettere in versi che invitavano il commissario Montalbano a una caccia al tesoro. La posta in gioco risultava misteriosa. Richiedeva comunque un’indagine, una pista da seguire, delle tracce da decifrare. Era qualcosa, in mancanza d’altro: nell’ozio forzato, nell’assenza di un delitto. Montalbano decide allora di aggiungere gioco a gioco. Associa alla caccia, in qualità di aiutante da mettere alla prova, uno studente di filosofia, un aspirante epistemologo, un maghetto alla Harry Potter interessato a studiare la mente investigativa del commissario di Vigàta. L’ozio sbandato s’infosca, all’improvviso. Si carica di trepidazioni e di malessere. Il gioco si fa tenebroso. Sprofonda in abissi cupi e sordidi. Si stringe attorno a una demenza erotomane, a una psicopatia: a una fantocciata rorida di sangue, a un’operazione alchemica che trasmuta vero e falso. Si arriva al terrore gorgonico. Montalbano si ritrova inavvertitamente invischiato in un noir degno di Hannibal Lecter. Si era lasciato sviare, all’inizio, dall’indicazione di una strada di periferia. La via Brancati l’aveva portato al Don Giovanni in Sicilia, all’onesto libertinismo inscenato davanti a una bambola di gomma portata da Parigi. Una diversa letteratura lavorava invece la realtà, all’insaputa di Montalbano. Quest’altra strada portava alla «moglie» di pezza e stoppa decapitata dal pittore Oskar Kokoschka e buttata nella spazzatura; alla «moglie» di spessa gomma che Gogol’ uccide in un racconto di Landolfi; alle bambole perturbanti, manomesse dal sadismo, di artisti quali Hans Bellmer e Cindy Sherman

€ 13,30 € 14,00
copertina del libro Il nipote del Negus di Andrea Camilleri SCONTO DEL 5%

Eja, Eja, Alalà! Fu già tempo in cui si andava in camicia nera; si cantavano inni; si marciava nelle parate. Una forza guerriera ingagliardiva l’Italia, una scattante prestanza virile: una lungimiranza politica, un'indomita fierezza, una virtù d’impero. Bisognava pur credere a tanto andar su di schiuma, e prender aria e vento, e darsi gonfi e impettiti. Quando la menzogna si accasa nella storia, sono gli atti di fede, e le adunanze, e i manganelli, che fanno la verità. Ci volevano, a Vigàta, le furberie e le mattacchiate di uno scavezzacollo di principe di colore, la selvatica estrosità e il talento per gli affari di un diciannovenne ben arnesato e sessualmente senza briglie, la spudoratezza e l’inclinazione astuta di un nipote del Negus, i puntigli e le impuntature principesche di uno studentello straniero senza letto e senza tetto, che allettava gli occhi e invaghiva i cuori, per umiliare l’onore, l’orgoglio virile, le mire colonialistiche, le prolisse incompetenze del regime, e il nazifascistico razzismo. Il nipote del Negus, il principe Grhane Sollassié Mbassa, è stato iscritto alla Regia Scuola Mineraria di Vigàta. Si rivela un virtuoso della bricconeria e un atleta dell’inganno: tutti brontolando, e lui bravando; promettendo molto, le autorità, e ancor più pagando, senza nulla mai ottenere. Cosa non tollerano tutti, cosa non tentano. Anche il Duce schiuma e freme, a Roma, e subisce a rate i tiri bassi dell’etiope: di quel tizzone d’inferno, coccolato e foraggiato, che scalcia e corvetta; e sfugge al dover suo di dar testimonianza in terra italica, e attestato scritto laggiù, in colonia, del viver bello e libero e generoso della «civiltà» fascista. La giovialità teatrale del principe, i suoi stratagemmi tattici, i suoi trucchi, le mascalzonate e le puttaneggiate, confluiscono nel gioco largo di una beffa che la «verità» falsa del regime rivolta nell’impostura vera del latin sangue gentile e della baracconata storica. Camilleri compagina e rilega, in un gustoso dossier, cose dette e cose scritte. Alle carpette della documentazione d’archivio intercala «frammenti di parlate». Sono veri documenti falsi e falsi documenti veri, allestiti con l’astuzia e la perizia di un falsario che vuol dare spazio di teatro al bottarisposta, al parlottare e al chiacchiericcio di un villaggio in cui tutti stanno guancia a guancia, a portata di voce e di gazzetta. Come il giovanissimo principe del romanzo, anche Camilleri è, a modo suo, un frodolento secondo verità: burla e beffa scrivendo, e inventando documenti, per stare alla fine dalla parte della verità storica.  Salvatore Silvano Nigro

€ 12,35 € 13,00
copertina del libro Rizzagliata - Sellerio di Andrea Camilleri SCONTO DEL 5%

Non può esserci posto per un commissario alla Montalbano nella Palermo di questo romanzo. Montalbano è, qui e ora, un’icona proverbiale distratta nei paesaggi remoti della giubilazione. Viene evocato, ma solo a sproposito. «Non è che ora ti devi mettiri a fari il commissario Montalbano», si dice; e l’iperbole è riservata alla vocazione investigativa di una segretaria, che è una «vera e propra minera di sparlerie, curtigliarate, maledicenze». Il romanzo si colloca nelle vicinanze della cronaca più recente. E dà una rappresentazione storicamente ravvicinata del generale insordidamento politico: delle occulte geometrie e delle segrete intese fra poteri forti trasversali alle colorazioni stinte dei partiti; degli strusciamenti della corruzione; delle collusioni mafiose; dei vari gradi di perversione del linguaggio velato o atteggiato, elusivo o reticente, ossequioso o intimidatorio. Le apparenze abbagliano. Ed è sconsigliato denudare le parole e interpretare i fatti. L’impermeabilità della politica irradia di sé le carriere, nelle aziende pubbliche, e i passaggi dei pacchetti azionari nella Banca dell’Isola; e persino le alcove: le fedeltà e le infedeltà coniugali; l’amor costante e le passioni tattiche. La giostra, che la politica fa intorno al cadavere di una studentessa assassinata e al fidanzato raggiunto da un avviso di garanzia, viene seguita, e assecondata, dal direttore del telegiornale isolano. Anche gli innocenti, che credono di star fuori o ai margini della trama, e sanno come «cataminarisi», hanno le loro tare e qualche inaspettato tornaconto nel romanzo. L’ingarbugliamento della vicenda, il labirintico concrescere della trama, annoda e invischia tutti; e impedisce che si arrivi a decifrare il calcolo ordinato dietro l’apparente contraddittorietà dei particolari, e a riconoscere quell’istanza di superiore controllo che nulla ha lasciato al caso. Qualcuno, in alto, ha lanciato il rezzàglio, la rete da pesca. E ha tirato su il bottino che gli premeva. «Ittari nna rizzagghiata», dicono i vecchi dizionari fraseologici del dialetto siciliano, significa «non lasciar uscir di mano nulla, né perdere occasione alcuna di qual si voglia poca importanza ch’ella si sia». La verità è confezionabile, come qualsiasi menzogna. La verità autentica trova spazio solo nell’utopia fantascientifica della letteratura. Nell’ipotesi di un soggetto cinematografico, per un possibile film da intitolare Girotondo attorno a un cadavere. L’autore del «soggetto» è però un «fituso» informatore, capace d’inventare romanzi sull’attualità, per poi spacciarli come «verità di vangelo». E pretende, addirittura, di vendere le sue fantasie all’artefice mafioso della «rizzagliata» politica. Il «fituso » scompare nella notte. Tocca a Camilleri riscattare il soggetto romanzesco, gettare a spaglio la propria rete, e fare la Rizzagliata: il romanzo suo più nero, che ora esce in Italia, dopo il successo raccolto in Spagna con il titolo La muerte de Amalia Sacerdote.  

€ 12,35 € 13,00
copertina del libro Il quadro delle meraviglie di Andrea Camilleri SCONTO DEL 5%

«Chiamerò questo stile: rappresentazione multipla della realtà», scrive Roberto Scarpa nell’introduzione a questi testi teatrali, interrogandosi su ciò che unisce Camilleri romanziere e drammaturgo: è il teatro, con il suo raccontare «dal vivo» e «nel vivo» la complessità umana, che ha aiutato il creatore del commissario Montalbano a rappresentare simultaneamente le storie, i personaggi e le ipotesi che i personaggi stessi si formano delle proprie vicende. La teatralità, grazie alla quale ha potuto sviluppare la sua arte della rappresentazione multipla che avvince nel suo raccontare. «Perciò, insofferente davanti ai metodi che riducono la complessità dell’umano, annoiato a morte dal pessimismo, quand’ancora era giovane, Camilleri, proprio come Stevenson, ebbe uno scatto improvviso di impaziente desiderio di salute: come una scossa di scetticismo riguardo allo scetticismo. Si rese conto che non c’è proprio niente da fare con il nulla: non ci si ricava niente...
«Avvenne così che, per gran parte della sua vita, e comunque per quella parte che gli fu necessaria a costruire il proprio talento, Andrea si installò felicemente nel teatro: fu quello il luogo dove, proprio perché non c’è niente, poteva accadere tutto: anything goes. Così il teatro, luogo della ricerca perenne e inesausta, della curiosità e del gioco, lo ripagò diventando la sua casa. Quella fu la sua evasione: un’evasione riuscita che, come era inevitabile, lo condusse poi a inoltrarsi nel territorio infinito delle storie, che divenne la sua seconda casa. Perché questo è ciò che noi teatranti troviamo nel teatro, non una storia ma il luogo dove le storie si moltiplicano: il luogo cioè della prima e più antica gioia dell’umanità».

€ 17,10 € 18,00
copertina del libro Il gioco della mosca  di Andrea Camilleri SCONTO DEL 5%

«Il mio era un paese di terra e mare. Aveva un hinterland abbastanza grande da potervi fare allignare i germi di una cultura contadina che s'intrecciavano, si impastavano con quelli di una cultura, più articolata e mossa, che era propria dei pescatori, dei marinai. Dal tempo della mia infanzia molte cose sono naturalmente cambiate, in meglio o in peggio non m'interessa, ma proprio perché cambiate rischiano di perdersi, di svanire anche all'interno della memoria». Sentenze, detti, mimi, proverbi del parlare siciliano, raccolti e spiegati «geneticamente», al modo del loro nascere da microepisodi variamente tramandati, micronarrazioni, o - come dice Camilleri - da «storie cellulari».

€ 7,60 € 8,00
copertina del libro Il ladro di merendine  di Andrea Camilleri SCONTO DEL 5%

Dopo La forma dell'acqua e Il cane di terracotta questo è il terzo «giallo» di Andrea Camilleri ad avere come protagonista Salvo Montalbano, il commissario di stanza a Vigàta, «il centro più inventato della Sicilia più tipica». Questa volta Montalbano - preoccupato peraltro di evitare la promozione a vicequestore, che significherebbe compromissione burocratica e rinuncia ai propri capricci investigativi - sospetta l'esistenza di un collegamento tra due morti violente: quella di un tunisino imbarcato su di un motopeschereccio di Mazara del Vallo e quella di un commerciante di Vigàta accoltellato dentro un ascensore. Per Camilleri la Sicilia di oggi è fonte continua di ispirazione e di scoperta, di intrecci di romanzo poliziesco e di osservazioni su di un costume magari inquietante ma certamente non statico; soprattutto gli suggerisce un linguaggio, una parlata mai banale né risaputa. Tutto il contrario delle metafore viete e irritanti adoperate dagli uomini dei servizi segreti con i quali Montalbano si trova a scontrarsi duramente: figure retoriche sempre più incapaci di reggere il discorso della «ragion di stato» quando ormai, come osserva il nostro commissario, «praticamente serviamo due stati diversi».

€ 11,40 € 12,00
copertina del libro Il birraio di Preston - Andrea Camilleri di Andrea Camilleri SCONTO DEL 5%

Si capisce, leggendo Camilleri, che il suo piacere letterario maggiore, raccontando vicende della provincia siciliana (fatti veri su cui trama e ordisce la finzione, e quindi in sé semplici se non fossero intricate dall'essere appunto siciliane), è quello di riportare il dialogo vivo. È un piacere che si comunica immediatamente al lettore, per la particolare forza comica dell'arte di Camilleri; ma assieme al piacere, poiché il linguaggio è la casa dell'essere, e con la stessa forza e immediatezza, si comunica una specie di nucleo di verità dell'essere siciliano. L'iperbole e il paradosso della battuta, cui corrispondono l'amara coscienza dell'assurdo in cui siamo e il dolore sordo per l'immutabilità di questa condizione. Camilleri inventa poco delle vicende che trasforma sulla pagina in vorticosi caroselli di persone e fatti - qui il fatto vero, conosciuto dalla celebre Inchiesta sulle condizioni della Sicilia del 1875-76, è il susseguirsi di intrighi, delitti e tumulti seguiti alla incomprensibile determinazione del prefetto di Caltanissetta, il toscano Bortuzzi, di inaugurare il teatro di Caltanissetta con una sconosciuta opera lirica, Il birraio di Preston. E anche in questo attenersi al fondo di verità storica c'è probabilmente un senso preciso: in Sicilia non serve attendere che la storia si ripeta per avere la farsa. La storia, per i siciliani, si presenta subito, al suo primo apparire, con la smorfia violenta e assurda della farsa.

N/A € 10,00