“Amore, amore e ancora amore, che quando è così grande diventa passione. E sono stati proprio l’amore per il suo paese e la passione per la Targa Florio i due sentimenti che hanno spinto Nino Colombo, che nella vita è biologo analista, a tirar fuori dal cassetto gli appunti messi da parte in tanti anni vissuti intensamente da tifoso, da spettatore diretto, quasi da partecipante, in un certo senso, della Targa, e ad imbarcarsi in questa non facile avventura per documentare il particolare rapporto di Collesano (dove oggi esiste un ricco “museo” della Targa) e dei suoi abitanti con la Targa Florio, un rapporto intenso, che dura da più di un secolo, ma diventato più solido, viscerale, fra gli anni cinquanta e settanta, quando la corsa madonita divenne prova, del tutto anomala, perché non in pista, del campionato mondiale Marche, allora seguito più della Formula Uno, non solo a livello mediatico, ma anche dalle case costruttrici.
La Targa, che si svolgeva su ondulate e tortuose strade di montagna, era fatta apposta per provare le vetture, per collaudarle, per lavorarci sopra e renderle più efficienti e sicure. La Porsche, più di tutte, seppe sfruttare le indicazioni venute fuori da tante vittorie ed applicarle alla produzione, non solo con l’ancora diffusissimo modello “targa”.
Collesano, un tempo nota solo per le sue apprezzate ceramiche, per la Targa, e per il circuito, divenne un punto nevralgico. È posta a poco più di venti chilometri dal traguardo e quindi, superata la parte più lenta e difficile del tracciato, da lì ci si lanciava nella discesa verso Campofelice e il rettilineo di Buonfornello per giocarsi la vittoria.
E a Collesano i piloti, questi ardimentosi, considerati dei super eroi, più che altrove do‐ vevano far ricorso alla loro esperienza, alla loro abilità, soprattutto tirar fuori tutto il loro coraggio per affrontare, a quasi duecento all’ora, una serie di curve con un asfalto che, giro dopo giro, andava sgretolandosi, e quindi si presentava sempre diverso e insidioso. [Luigi Tripisciano, Prefazione]