Anni fa, parlando delle ultime due regine del regno di Sicilia, Maria di Sicilia e Bianca di Navarra, avevo notato che una regina è come le bamboline russe dette matrioske: diverse immagini femminili, inscatolate una dentro l’altra, tutte simili e tutte differenti e di differente grandezza, ognuna delle quali corrisponde ad un diverso aspetto di quella cultura femminile, ma non esclusiva delle donne, che si esprime nell’abbigliamento, nel sostegno agli altri, nella capacità di comunicare (ma anche nel senso dell’umorismo e nell’arte di narrare), e che è stata sepolta dalla valanga della storiografia femminista. E dunque una regina è, ovviamente e innanzi tutto, un corpo di donna o meglio un utero, la cui funzionalità assicura alla sua famiglia la sopravvivenza e il mantenimento del potere. Poi è anche un’immagine, un’icona della regalità; è una moglie e, se ha figli, una madre, con un ruolo più o meno attivo nel sostenere il marito e i figli; è una straniera, perché in genere viene da un paese diverso da quello su cui regna; e infine è un ricordo, che può anche trasformarsi in un mito.