Nicola di Marco Cuccia

Nicola Di Marco Cuccia (1903-1959), originario di Mezzojuso, è stato allievo prima di Alessio Di Giovanni e poi di G. A. Cesareo. Fondamentali per la sua formazione culturale sono state le letture del Verga e soprattutto del Pitré e del Salomone Marino nonché lo studio del folklore e delle tradizioni siciliane. Fin dai primi anni Venti cominciò a pubblicare poesie e racconti su numerose le riviste letterarie; tra queste si ricordano Varietas di Milano, Cultura Novecentesca di Taranto, Quaderni di Poesia di Milano, La Domenica Illustrata di Roma, La Siciliana di Siracusa, Fax in Tenebris di Milano. Fu direttore e redattore di alcune riviste quali Momus, Athena, Maggiolata di Palermo. Collaborò attivamente a numero­se riviste letterarie che si pubblicavano a Palermo tra gli anni Venti e Quaranta, quali Arte Nostra, Sagittario, Peregrina, Retroscena, Rassegna letteraria, La Domenica del Giornale di Sicilia. In quegli anni godette di ampia notorietà negli am­bienti culturali e giornalistici di Palermo. Esercitò la professione di giornalista e fu redattore capo del quotidiano palermitano L’Ora, fino a quando i bombarda­menti americani del 1943 non ne distrussero gli stabilimenti tipografici. Dagli anni Trenta fino a pochi mesi dalla morte collaborò con racconti d’ambientazione siciliana e articoli e saggi di folklore su testate giornalistiche come i quotidiani romani II popolo di Roma e // Tevere, II Messaggero di Rodi, La Gazzetta di Messina, i fogli palermitani Giornale di Sicilia, Sicilia Liberata, La Regione siciliana, Trinacria. Di forma­zione antifascista, fu vicino al Partito Comunista senza prati­care alcuna forma di militanza politica. Scrisse sulle figure più importanti della letteratura siciliana con saggi e articoli su Veneziano, Verga, Rapisardi, Guardione, Meli, Natoli, De Simone, Sciortino, Cesareo, Armò, Ganci Battaglia e nume­rosi altri.

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Come una sorta di micro-epopea etnica (sangue siculo-alba­nese) si offre questo «anacronistico», ma gustoso "reprint" del romanzo siciliano di Nicola Di Marco Cuccia, dal titolo L’ombra, pubblicato dal supplemento Domenica del «Gior­nale di Sicilia» dal maggio 1945 al gennaio 1946, in 30 pun­tate, firmate con lo pseudonimo Rocco Santamaria. E appaiono manifeste le ascendenze con i padri del romanzo popolare e veristico: da Vincenzo Linares al Verga, meno a quelle proprie del ’feuilleton’ caro all’inventiva di William Galt, per il quale manca l’esasperazione dell’intreccio stori­co, la passione per le architetture urbane e la toponomastica. Qui, invece, troviamo un’affollata ritrattistica (il truce Ros-somaligno, la dolce Santa d’Ignoti dalla carnagione d’avorio, l’irruente Turi di Padron Gaspare Lena, la volitiva Ntonietta di padron Carmine Papa, don Rocco Manolesta, zu’ Giurlanno Massaru Ciccu, Mastro Angelo Testalonga, i beccamorti Massaro Ntoni Coppola, Mastro Costantino lo Scimunitu, il papas Simone Castriota, la gna’ Carminuzza Linguacciuta, Massaro Ntoni Capra, donna Rosa, Nofrio Nzinzula con lo spirito del gigante Ferraù, e tanti altri); essa accompagna nel suo essere un’interessante lettura sociopsicologica e antropo­logica, innervata da un cromatismo linguistico e paremiologico che non può non ricondurci al Pitré demopsicologo, alle pieghe di una tradizione orale d’ampia efficacia e icasti­ca pregnanza. L’ombra della morta ammazzata, portatrice di sventure (un’ombra da scacciare a colpi di croci), sacrificata dalla cecità dei costumi e delle miopi usanze, vaga per il paese di Contessa Entellina, si sposta per le campagne di Chiusa; in questi luoghi, amori, umori, enfasi sentimentali, iracondie e bigotte osservanze destrutturano un minuscolo cosmo votato all’oscurantismo, avvertendo, comunque, nel picaresco incedere degli eventi, dove ruota l’amore tra Turi e Santa, il declino d’una civiltà. Nicola Di Marco Cuccia (che rileggiamo a quaranta anni dalla scomparsa) tratta tutto que­sto materiale con vivacità espressionistica, leggendo, quasi attraverso una fisiognomica darwiniana, tracce di vicende e volti, esilaranti accadimenti umani e ambientali.

Aldo Gerbino
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