Il diavolo e l’olio santo è un romanzo tra realistico e umoristico, di tipo manzoniano, per la felice convergenza di storia e invenzione e per l’istanza religiosa che vi circola e vi domina; ma è anche un romanzo che non ignora le grandi tendenze novecentesche, in ordine a uno stile che richiama Céline, Gunther Grass e Garcia Marquez e non esclude forme di montaggio figurativo che fanno persino pensare all’École du regard.
Ma è sopra tutto un romanzo interamente siciliano, sia perché ambientato in un paesino della vecchia provincia di Catania, Centorbi (oggi Centuripe, in provincia di Enna), luogo natìo dell’autore, e come tale ricco delle usanze, mentalità, passioni, attese, delusioni dell’universo siciliano (la delusione maggiore, quella amorosa, realmente patita dalla protagonista, madre dello scrittore), tutte colte e rappresentate in una delle fasi più tormentate del Novecento, quella della Prima Guerra mondiale, e tutte concentrate nelle vicende di una famiglia benestante, delle sue aspirazioni e necessità, nonché dei suoi pregiudizi e dei suoi fallimenti, un universo nel quale si proietta pure molto della problematica antropologica e pedagogica, economica e politica del nostro tempo (il rapporto tra religione e sesso, le scelte matrimoniali, il dilemma della pace e della guerra, le questioni di capitale e lavoro, di ricchezza e povertà).