La storia moderna del vino e dell’enologia siciliana percorre strade affascinanti che intrecciano i destini della Casa di Francia degli Orléans, di Horatio Nelson e della sua flotta, dei mercanti-imprenditori britannici e di quella piccola parte dell’aristocrazia siciliana che potremmo definire illuminata. Da questo punto di vista, il libro di Rosario Lentini è un romanzo storico straordinario.
Non è solo il resoconto di un’incredibile capacità di visione e di una rivoluzione tecnologica che accomuna tutti i protagonisti dai Woodhouse, agli Ingham, ai Whitaker, agli Orléans, agli Alliata; è la storia di un intero territorio e di una, fortissima ma quanto disperata, ambizione di fare della Sicilia un centro, se non il centro, di un’economia agroalimentare di livello mondiale. Perché questa è la tensione che si legge tra le righe e nelle lettere dei protagonisti. La voglia di essere nel mondo; di essere il mondo di riferimento. Un’agricoltura figlia dell’Illuminismo e avida di scienza, che ambisce a divenire industria, l’unica possibile, e a cimentarsi sui mercati internazionali, senza confini alle proprie ambizioni, senza complessi.
Francia, Regno Unito, Stati Uniti d’America, Corti europee: questo è lo scenario di riferimento di questi pionieri dell’agroindustria siciliana. Colti, ognuno di loro capace di vedere ben oltre i propri confini di imprenditore del vino. Capaci di costruire opifici e palazzi e ville di grandissimo valore architettonico e, allo stesso tempo, di immaginare sistemi produttivi e prodotti con l’ambizione di rivaleggiare, vincendo, con i più blasonati prodotti francesi, portoghesi e inglesi. In grado di vincere la fillossera, di importare i vitigni francesi, il mitico Sauternes tra tutti; di studiare i processi e i sistemi di vinificazione. Le battaglie di sempre e di oggi dell’agricoltura siciliana. Storie che pongono domande ancora oggi importanti, come per esempio sono quelle legate all’imprenditoria di stampo familiare. Storie che ci fanno capire come di passi avanti a volte rivoluzionari sia fatta quella che oggi chiamiamo la tradizione viticola ed enologica siciliana. Storie che, ancora oggi, insegnano a tutti, all’impresa, alla politica, alla ricerca, la necessità di avere un progetto, una visione del futuro, una strategia. Si fondono insieme il pensiero illuminista, la grandeur ottocentesca e la Belle Époque siciliana, con il suo rapido declino che segue gli ultimi trionfi, come le luci di un fuoco di artificio. Emergono personaggi che non è esagerato definire “giganteschi” nella loro capacità di credere, a dispetto di un sistema sociale, burocratico, politico che allora, come oggi, fa fatica a immaginare un futuro. Si avvertono gli echi della sciasciana “colpa del fare”. Non c’è finalmente, nulla di gattopardesco. Non è una Sicilia di lamentosi gattopardi, disillusi quanto cinici. È del tutto diversa. È una Sicilia responsabile, operosa, fantasiosa, creativa, quella che emerge. Non ha poi neanche tanta importanza, alla fine, se l’impresa specifica abbia avuto o meno successo. Rimane tantissimo di quel periodo, rimane un patrimonio di reputazione che si è costruito nel tempo e che oggi è un patrimonio di tutti e del quale tutti i protagonisti dovrebbero sentire la responsabilità.