Bernardo Puleio
Il sedicesimo secolo è il periodo della rivisitazione dei testi classici e del successo della Poetica aristotelica. Tuttavia, le formulazioni teoriche scaturite dalle poetiche cinquecentesche e la lettura dei testi tragici (ingiustamente poco noti) forniscono una visione disperata dei rapporti tra società e potere. Il potere, sempre legato a un’inquietante epifania di thanatos, minaccia costantemente i cittadini senza alcun rispetto per la morale e la misura.
La violenza è il suo linguaggio preferito e solo la violenza può essere lo strumento della liberazione tragica. La gratuità del male, la spietatezza, l’orrore fanno dell’esercizio del potere un elemento angosciante. Seviziare, squartare, smembrare sono i mezzi adoperati, in una sorta di pedagogia del terrore, per indurre i sudditi all’obbedienza.
In quest’ottica la tragedia italiana aumenta, senza fine, le paure e i timori, senza alcuna possibilità di catarsi. Infatti, gli oggetti rappresentati non sono percepiti come lontani o inverosimili, ma sono connotati dalla triste attualità.
Il corpo viene esibito (nelle tragedie come nelle pubbliche piazze) come il trofeo su cui la violenza sacra, cioè ultima e definitiva, non vendicata e non vendicabile, del potere (sia laico che religioso) si diverte a compiere ogni sorta di scempiaggine, tracciando i segni di una scellerata affabulazione, di una semantica dello strazio. Solo un gesto di uguale e contraria violenza, come il tirannicidio, può, ma momentaneamente, nella certezza che la prassi reale è ben altra cosa, liberare, fittiziamente, sul proscenio, dall’inquietante rappresentazione onnivora del potere.
Una tragedia senza catarsi, specchio delle paure e dei sovvertimenti etici patiti dalla società italiana, campo nascente dell’antimachiavellismo.
Prende forma, pertanto, un genere non amato nelle corti, in quanto non è funzionale agli interessi di chi governa (a differenza della commedia che, nella eccezionalità del momento festivo e trasgressivo, postula, per contrasto, la rigidità normale e normativa delle censure e delle differenze sociali).
Ma c’è di più: la tragedia è il campo dell’azione fittizia che prelude alla lotta vera e propria degli oppositori ai regimi assoluti, soprattutto a Firenze.