Il Mattino del 28 luglio 2013
Quando Totò perse la vista in scena
Bagnati in "Lultimo sipario" ricostruisce le tragiche ore in cui il principe de Curtis capì di diventare cieco
La prima persona a rendersi conto, quel 3 maggio 1957, che qualcosa di grave e irreversibile stava per accadere, fu l’attrice Franca Gandolfi, moglie di Domenico Modugno, la quale insieme con Franca May e Yvonne Menard rappresentava l’élite femminile della compagnia teatrale. Incontrando, di buon mattino Totò nella hall dell’albergo di Villa Igiea di Palermo, e salutandolo con molte effusioni, Franca Gandolfi si sentì rispondere: «Signora, lo so che lei è bellissima, ma lei non può credere come la vedo. Io la vedo come un mostro».
Traggo questa rivelazione, perché di tale si tratta, dal volume di Giuseppe Bagnati Totò, l’ultimo sipario (Nuova Ipsa editore, p. 132 euro 12). La bibliografia sul principe del sorriso è ormai vastissima e si apre anzi nel 1972 con un libro del sottoscritto; ma questo or ora scritto da Giuseppe Bagnati si differenzia da tutti gli altri per un nient’affatto trascurabile motivo: esso ricostruisce infatti, con una infinità di particolari, tutte le fasi talvolta perfino irritanti, di una malattia che condurrà il grande attore napoletano alla cecità quasi totale.
Datosi completamente al cinema, Totò mancava da sette anni dal teatro quando, nel 1956, l’impresario Remigio Paone gli propose di capeggiare una rivista dal titolo A prescindere scritta dai napoletani Nelli e Mangini. Dopo un’anteprima a Perugia, la compagnia passò a Milano, e fu qui che Totò avvertì dolori lancinanti agli occhi. Gli furono prescritti quindici giorni di riposo, ma lui ne fece soltanto quattro. Finalmente il viaggio a Palermo. E qui Totò ebbe sulle prime l’impressione di star meglio e ne attribuì il merito, racconta Bagnati, alla protezione che dal cielo gli veniva da sua madre. Anna Clemente, madre di Totò, era infatti nata a Palermo.
Il 3 maggio 1957, “prima” di A prescindere al Politeama di Palermo. Il pubblico interpretò certi sbandamenti di Totò come previsti dal copione, ma dietro il palcoscenico esplose il dramma: «Sono cieco!» urlava l’attore. L’oculista interpellato gli ordina quindici giorni di riposo, ma Totò l’indopodomani è di nuovo in scena. È il 5 maggio 1957, e questo giorno segna la fine definitiva dell’attività teatrale di Totò. Il 6 maggio il direttore della clinica oculistica dell’università di Palermo, visita Totò e dichiara che non è in grado di lavorare. L’impresario Remigio Paone è furibondo e corre a chiedere aiuto al cattedratico di oculistica a Napoli, suo amico. Tanto per accontentarlo questi telefona al suo collega di Palermo, ma sposa le sue ragioni. Paone si “vendica” facendo sequestrare il materiale scenografico al Politeama, mentre impresari teatrali di Catania minacciano azioni giudiziarie contro Totò. Altri arrivano a offrire cinque milioni di lire al direttore della clinica oculistica purché affermi il falso, cioè che Totò può recitare. Vengono messi alla porta.
Insieme con la compagna Franca Faldini, Totò abbandona Palermo e fa ritorno a Roma. Sette mesi di convalescenza, con un occhio completamente cieco e un altro che ogni tanto avverte un po’ di bagliore. Ma nell’autunno del 1957 Totò torna al lavoro cinematografico. Suoi colleghi lo accompagnano sul set tenendolo per mano e lui avrà modo di girare altri 42 film. Poi l’infarto, il 15 aprile 1967. C’è un’intera città che usa gli occhi solo per piangere.
Vittorio Paliotti