Palermo parla del 01 agosto 2013
Totò, lultimo sipario
Giuseppe Bagnati e il grande attore per cui Palermo fu città fatale: presentato libro
Dire che Totò è stato amato è limitativo. Totò è stato adorato, osannato, istituzionalizzato in Italia e all’estero. E questo grande affetto ha mosso il nostro autore, Giuseppe Bagnati, a scrivere di lui, del suo dramma, del suo legame con Palermo. Il libro si intitola Totò, l’ultimo sipario (Nuova Ipsa Editore, prefazione di Gianni Riotta, 130 pagine 2013, 12 euro).
Giuseppe Bagnati è un giornalista palermitano che ha voluto raccontare del mito Totò nel momento in cui divenne cieco. Nessuno ne aveva mai parlato o scritto approfonditamente, ma la diagnosi di cecità all’occhio destro a causa di una coroidite essudativa fu fatta da un oculista palermitano, Giuseppe Cascio, nel suo studio in via Meccio, proprio vicino al teatro Politeama. E purtroppo Totò aveva già perso la vista all’occhio sinistro dopo un distacco di retina. La diagnosi suonava dunque come una sentenza senza appello. Accadde a Palermo, nel maggio del 1957, durante le rappresentazioni di A prescindere, al teatro Politeama. Totò era arrivato a Palermo via mare, con tutta la compagnia, con Franca Faldini, la sua compagna, e con la figlia Liliana. In A prescindere, terza rivista di Totò prodotta da Remigio Paone, suo impresario nei migliori spettacoli teatrali, recitavano con Totò, Franca May, soubrette che aveva già lavorato con Billi e Riva e con Edoardo, Yvonne Menard, reduce dalle Folies Bergère di Parigi, Franca Gandolfi, moglie di Domenico Modugno, Mario Di Gilio, l’imitatore prediletto di Totò, Elvy Lissiak che con Totò aveva recitato in alcuni film e naturalmente Franca Faldini, la sua compagna. A fare da spalla, Enzo Turco. Una rivista, in cui il principe della risata inseriva i suoi personaggi più celebri, tra cui Otello e Napoleone. Bagnati ci mostra il volto umanissimo del dolore di un personaggio mitico, ma non dimentica di ricordarcene la storia, le vicende precedenti, i film interpretati, le commedie brillanti, i personaggi della sua famiglia e del mondo dello spettacolo e momenti particolari vissuti con gli amici più cari.
La mamma di Totò, Anna Clemente, era palermitana e, in quanto tale, dichiarava di possedere una marcia in più. Ragazza madre diciassettenne, lo mise al mondo a Napoli, dove si era trasferita, giovanissima, con la madre Teresa e i fratelli. Nonna Teresa alleverà il piccolo Antonio. Fin da piccolo Antonio sogna di fare l’attore, ma la mamma Anna, Nannina come la chiamavano in famiglia, lo vorrebbe vedere sacerdote. Totò frequenta il seminario e la parrocchia. Servire messa per il piccolo Antonio è una specie di debutto, ma l’emozione lo vince e riesce solo a farfugliare poche parole in latino maccheronico. Questo incidente chiude definitivamente la parentesi ecclesiastica. Totò segue allora la sua unica, autentica vocazione e comincia a recitare a Napoli. La figlia Liliana racconta dei manicaretti sicilianissimi di nonna Nannina come la pasta con le sarde o la caponata o la parmigiana di melanzane che Totò adorava, e si ferma a ricordare anche, con nostalgia, il periodo in cui nonna Nannina e il nonno Giuseppe De Curtis, il padre naturale che aveva riconosciuto il figlio solo quando era ormai adulto, si erano trasferiti a Roma da Napoli. Era il 1939, la piccola Liliana aveva solo sei anni e non poteva seguire papà e mamma partiti per l’Africa orientale in tournée.
Bagnati nella sua opera che travalica i confini angusti del documento, ci trasmette il profumo di un tempo in cui si viveva più semplicemente, si lavorava alacremente con forza ed ottimismo per ricostruire quello che la guerra aveva distrutto e si riusciva a ridere di cuore. Non esisteva l’indifferenza, la sensibilità era un bene diffuso e ben circolante che nel mondo dello spettacolo dava i suoi preziosi frutti.
Un breve ma significativo capitolo è dedicato all’amicizia con Edoardo De Filippo. Erano cresciuti insieme, nel rione Sanità dove De Filippo va a scuola mentre Totò, a sedici anni, già recita al teatro Orfeo e insieme si fanno quattro chiacchiere nel camerino piccolo ed umido dell’attore. L’amicizia tra i due durò per sempre. L’affinità che sentivano reciprocamente la consideravano una sorta di contatto di razza. Di Dino De Laurentis l’idea di farli recitare insieme nella versione cinematografica di Napoli Milionaria. L’autore racconta che Totò, pur avendo fatto moltissimi film, prediligeva il teatro, in modo particolare, come forma espressiva più immediata, più diretta e quindi di grande soddisfazione per un grande attore come lui, per una vera “macchina da guerra del palcoscenico” come qualcuno lo definiva. Totò teneva soprattutto al contatto visivo con il suo pubblico, condizione che considerava irrinunciabile, pertanto voleva che la sala fosse sempre ben illuminata. Ma anche le luci molto forti, mentre recita in A prescindere, non bastano più. Il buio cala come un nero sipario proprio durante la sua esibizione, l’artista riesce ad andare avanti comunque, ma è finita, lo sa, la luce non c’è più. Frizzi, guizzi, lazzi e piroette, l’ultima passerella, rischiosissima ma andata a buon fine, le repliche, tutto però senza la possibilità di vedere il suo pubblico e condividerne pienamente le emozioni che solo lui sapeva dargli.
Dopo la cecità, non proprio assoluta perché gli erano rimasti due decimi di vista da un occhio, che scherzando chiamava “l’occhio policlinico”, Totò non tornò più sull’amato palcoscenico, ma diede vita a film suggestivi come Uccellacci e uccellini di Pasolini. Sul set riusciva a ritrovarsi, era di nuovo totalmente se stesso, ma per lasciarlo aveva poi bisogno di un accompagnatore: se tra scena e vita vera in teatro poteva sconfinare, sul set era il ciak a dettare le regole, ma il Principe, per molti anni ancora, con dignità e coraggio continuerà a fare cinema per dare tutto il possibile e anche di più al suo amato pubblico. Perché il suo vero unico copione era la vita, lo era prima dei problemi agli occhi e continuò ad esserlo anche dopo, sino alla fine, un copione esilarante e drammatico, ricco di forti contraddizioni che Giuseppe Bagnati ha saputo farci rivivere tutte con il suo libro.
Rory Previti.
I sessantenni ricordano il fatto di Totò al Politeama e il Giornale di Sicilia che uscì in prima pagina con queste parole in grande: “Il comico Totò colpito da attacco di cecità si ritira dal palcoscenico del Politeama”. Fu un trauma per tutti. Nessuno voleva la fine del grande attore e comico, amico di tutti. Abuso di antibiotici, si disse. E noi bambini era la prima volta che non li chiamassimo penicillina. Era ammirato ed amato già ai suoi tempi, ancor di più lo fu poi, fino a far dire persino che fosse stato sottovalutato in vita. Ma il fatto che Pasolini lo chiamasse ad un ruolo non comico ne suggellò in tempo la vocazione non certo unidirezionale, la capacità di essere un maestro della commedia di costume, della satira d’ambiente, dei peccati della borghesia nazionale, cogliendo a piene mani dal neorealismo e dando l’imbeccata alla commedia all’italiana. Ma Totò era il tutto della recitazione e della comicità. Il figlioletto di chi scrive non sapeva ancora bene parlare: richiamò dall’altra stanza, mentre la tv proiettava un vecchio film. “Papà, papà, vieni, questo fa lidere”. Era Totò e il piccolo Vincenzo lo ammirava già, mentre diceva ancora la elle al posto della erre.
G.S.