Rassegna stampa

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Repubblica - Palermo del 18 novembre 2009
Il Re oscurato
Ruggero II in Sicilia, il vero stupor mundi  
 
La Sicilia normanna? Una splendida cassaforte invidiata dai grandi della terra e poi razziata senza misericordia soprattutto dagli Svevi, a cominciare dal leggendario Federico II. Parola di Pasquale Hamel, che nel suo saggio “L’invenzione del regno: dalla conquista normanna alla fondazione del Regnum Siciliae” distrugge una sfilza di luoghi comuni sulla presenza araba in Sicilia e sulla continuità fra regno normanno e dominazione sveva.
Il risultato è una lettura scientifica assolutamente nuova di quel periodo. Fondata su fonti originali, al di là della storiografia corrente spesso imbevuta di pregiudizi ideologici, e consegnata al lettore attraverso una prosa facile e asciutta.
La conquista normanna della Sicilia comincia nel 1061: Ruggero, l’ultimo della nidiata di figli generati da Tancredi di Altavilla, sbarca in una spiaggia nei pressi di Messina per tentare di impossessarsi dell’isola secondo le disposizioni di suo fratello Roberto il Guiscardo. Non mancano fin dall’inizio insuccessi e delusioni. Ma la guerra santa è cominciata. E dopo trent’anni si conclude con il trionfo dei Normanni e, in particolare, di Ruggero d’Altavilla gran conte di Sicilia. Una vera “crociata”, per dirla con Rosario Gregorio, che travolge a poco a poco i musulmani di Sicilia grazie alla superiore tecnica militare dei cavalieri di Roberto e Ruggero. Così - tra “tensioni, scaramucce e matrimoni”, “eroismi e tradimenti”, “lutti e alleanze” (sono tutti nomi dati da Hamel ai capitoli della prima parte del libro) -  si arriva alla tanto agognata fondazione del regno.
“Lo sbarco e la successiva conquista di Messina – scrive Hamel – confermarono i timori dei Saraceni, rimasti impressionati dalla fora che gli invasori riuscivano ad esprimere anche nei momenti più difficili. Soprattutto in campo aperto rifulgevano le qualità militari dei Normanni, i quali allo slancio e all’impeto aggiungevano la fiducia cieca che il loro coraggio, assistito dal favore divino, avrebbe consentito di superare qualsiasi ostacolo si fosse parato sul loro cammino”.
Micidiale la tattica militare degli uomini del Nord. Cavalleria pesante corazzata, carica frontale, finte fughe. Trema il nemico di fronte alle nuove macchine d’assalto costruite dagli invasori: rotti mobili e scale mai viste. Sta di fatto che i Saraceni soccombono. Anche perché, spiega Hamel, “scontavano almeno due limiti che, in quella situazione, venivano a costituire vincoli decisivi”. Il primo: mancanza di unità. Il secondo: non affidabilità della parte cristiana della popolazione, “che parteggiava apertamente per gli invasori”.
Dunque il traguardo tagliato dai conquistatori è la fondazione del regno: questo il progetto perseguito dal testardo Ruggero II, che costruisce uno strumento istituzionale capace di fare della Sicilia un luogo centrale nello scacchiere geopolitico del Mediterraneo. Sotto tutti i punti di vista nella vulgata comune – prosegue l’autore – si esalta la lungimiranza di Federico II per avere dato una solida moneta unica al suo regno, mentre si mette in secondo piano, o addirittura si dimentica, che proprio a Ruggero II si deve l’iniziativa di mettere ordine nella monetazione del regno con l’individuazione di una zecca unica. Subito dopo avere promulgato le assise, il sovrano normanno introdusse una nuova moneta unica per tutto il regno, il ducato o ducale. Era la prima volta che, almeno nella penisola, veniva creata una moneta nazionale. In precedenza i principi vassalli di più alto rango battevano moneta propria”.
Anche per questo Ruggero II è uno dei sovrani più significativi del primo millennio. Certo diverso dal padre, anche fisicamente. Ha poco dello stereotipo del cavaliere normanno. Altezza media, incarnato olivastro. Niente di nordico. Massiccio, faccia leonina e voce roca. “Proprio queste sue fattezze avevano addirittura alimentato le dicerie di Orderico sulla sua appartenenza alla stirpe degli Altavilla”. Ma è diverso dal padre anche sul versante delle abitudini: “nonostante i biografi tentino di accreditare una sua preferenza negli anni giovanili per i giochi fisici, Ruggero non amava la guerra, aborriva lo scontro, cercava in ogni maniera di risolvere le questioni pacificamente e, laddove non vi riusciva, era solito non partecipare in prima persona alle campagne militari; le poche occasioni che infatti lo videro protagonista fra i suoi armati, si risolsero per la maggior parte in clamorosi insuccessi”.
Invece è un fuoriclasse nelle arti diplomatiche. Parla il latino, il francese, l’arabo e il greco. È paziente. Sa attendere e convincere. È un uomo di Stato, più orientale che normanno. Raffinato, sensibile (il padre era rozzo e frugale, dicono i cronisti del tempo), perde raramente le staffe. “Il suo sfuggire alle vendette per praticare il perdono – scrive inoltre Hamel – era sì scelta opportunistica, ma sicuramente corrispondeva ad una sua predisposizione d’animo”. E ancora, per tornare ai luoghi comuni: “La sua figura è stata offuscata da quella del nipote Federico II, il quale, non avendo le qualità di equilibrio e forse la vastità di cultura del nonno, si appropriò con la complicità di intellettuali servili tutta la sua eredità storica, sarcofago incluso”.
E poi, come quasi tutti i normanni, Ruggero è anche un uomo profondamente religioso che comprende l’importanza dei simboli sacri: “ne è esempio il grande rispetto che portò nei confronti dei papi quando gli furono manifestamente ostili e, in qualche caso, cercarono di spingerlo ai margini della comunità cristiana”. Insomma, nel cammino dalla conquista alla fondazione del regno hanno avuto un peso anche le differenze fra Ruggero, suo padre e gli altri Normanni. Però osserva Hamel, c’è un carattere che li accomuna: “la tentazione di raggiungere obiettivi sempre più alti”.

Salvatore Falzone