Ecco la Poesia, colei che da sola illumina i fiacchi movimenti della Ragione; poesia, "Diamant sans rival", perennemente incastonato sulla casa del mondo dal suo fervido ’Pastore’.
Eppure, per il romantico Alfred de Vigny (1797-1863), qui limpidamente tradotto da Gina D’Angelo Matassa, si attesta la luce della passione e il pigmento struggente del sentimento terrestre e celeste, per riversarsi in un pessimismo capace, però, di riconoscere la sua essenza primaria nella materia stessa dell’universo, nella valenza sociale e religiosa, nella incommensurabile grandezza di Dio, nella percepita vastità del cosmo: manifesto "spazio del corpo della terra". E alla grandezza impervia dell’animò ecco annodarsi, in questo fluviale incedere di versi, il ’senso della decorazione’, non quello fine a se stesso, ma quello impregnato (e quindi motore) di un protosimbolismo agile e profondo. Così (come in Wanda: una storia russa, poemetto del 1847) gli anelli, le perle, i sigilli, i diamanti, i cesellati bracciali, i sacri talismani, conducono tra i "ghiacci eterni", stravolgendo il ’dolore’ nel ’colore’ intenso della perenne azzurrità della storia. Allora i paesaggi umani, da "Mosé" all’adultera dal letto "cosparso di aloe e mirra", anelano, come tutto in Vigny — poeta di Loches, indimenticato autore delle Destìnéès, dei "Poemi antichi e moderni", scrittore drammatico — alla ricerca costante di una totale purità dello spirito. Di certo rifulge (oggi ancor più visibile) il succo aereo della vita con le sue luci abbaglianti, i lutti impenetrabili, le apocalittiche visioni che più tardi ritroveremo, ma con un intento e spessore diversi, in alcuni ’poemoni’ di Mario Rapisardi. Infine scorgiamo le sue raccolte e dignitosissime lacrime stellare su ogni improvviso apparire d’abisso, forma non negletta di conoscenza, cui molto deposito è devoluto alla poesia e ai suoi ’profeti’.
Aldo Gerbino