Il testo si apre con una breve descrizione divulgativa della biologia della visione, dalla percezione delle linee complesse ai colori, e di come questa si sia evoluta nel corso dei millenni, da meccanismo pro-sopravvivenza legato all’analisi dell’ambiente naturale e dei propri simili, a strumento di valutazione e apprezzamento della composizione artistica.
Indaga le analogie tra lo sviluppo del cervello nei bambini affetti da disturbi dello spettro affettivo e relazionale (autismo) e le rappresentazioni iconografiche degli uomini primitivi, dal paleolitico al neolitico. Un’ampia sezione descrive dinamiche cerebrali dovute ai cosiddetti neuroni specchio e di come questi influiscono sull’espressione e la fruizione dell’opera d’arte, analizzando le produzioni di due degli artisti contemporanei più famosi: Damien Hirst e Jeff Koons, collegati da una complementarità culturale ancestrale, quella tra eros e thanatos, che affonda le radici nell’arte funeraria etrusca.
Quindi gli autori approfondiscono l’analisi neuroestetica della visione e i suoi effetti sull’organismo umano, seguendo l’evoluzione che ha subito il punto di visuale. Dal basso verso l’alto nel barocco, dal basso a “volo d’uccello” nell’arte futurista e dall’alto verso il basso nella produzione pittorica dell’archistar anglo-irachena Zaha Hadid. Lo stesso punto di vista che fugge i confini della rappresentazione pittorica, fino ad abbandonare totalmente i confini del corpo e le dinamiche cerebrali nell’arte riferita al metaumanesimo e transumanesimo.