Ovidio

Ovidio nacque a Sulmona nel 43 a. C. Studiò retorica a Roma, dove si distinse per ingegno e capacità; completò la sua formazione ad Atene. Sulla via del ritorno visitò le province dell’Asia Minore e la Sicilia. Tornato a Roma partecipò alla vita mondana e culturale (conobbe Tibullo, Properzio, Orazio, Virgilio). Intorno al 15 a. C. pubblicò Amores. Tra il 10 e il 3 a. C. compose le Heroides, lettere di eroine del mito ai loro amanti. Il successo gli arrise e Ovidio divenne il “poeta alla moda”, non solo per l’elegia amorosa ma anche per la composizione di una tragedia oggi perduta, la Medea. Nell’1 a. C. fu pubblicata l’Ars amatoria, indirizzata a chi volesse imparare a “sapienter amare”. Seguirono, nell’1 d. C., i Medicamina faciei femineae e Rimedia amoris. Nel 3 d. C. inizia la composizione delle Metamorfosi e dei Fasti.

Nell’8 d. C. venne colpito da Augusto con la condanna alla relegazione sulle coste del Mar Nero, nella città di Tomi, l’odierna Costanza. I motivi del provvedimento sono da ascrivere al clima politico e all’opera di moralizzazione dei costumi voluta da Augusto.

Sulla infelice condizione di esule, tra l’8 e il 12 d. C. compose le Tristia, Epistulae ex Ponto e l’Ibis, un’invettiva in distici elegiaci contro un anonimo calunniatore.
Neanche Tiberio, successore di Augusto, volle revocare il provvedimento e nel 17 d. C. Ovidio morì a Tomi, dove fu sepolto.

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Un critico inglese dell’800, Walter Pater, distingueva la grande poesia dalla buona poesia. Per buona poesia intendeva la poesia che si limita a registrare un solo aspetto della vita e dei sentimenti umani visti da un solo punto di osservazione, e quindi personali e provvisori ma oggettivati con passione. Per grande poesia quella che focalizza l’obiettivo sull’uomo nella sua totalità, ne registra la varietà e la mobilità del sentire e del pensare e ne ricostruisce la storia.
La grande poesia, dunque, grazie ai suoi contenuti, coinvolge il lettore che in essa si identifica, in assoluto; e per essa si commuove, si esalta, si adira, si giustifica, si condanna, gioisce o si addolora. E si educa. Perché essa tocca tutte le corde che presiedono alla cosiddetta vita spirituale dell’uomo e ne interessano la “cassa di risonanza”.

Le Metamorfosi di Ovidio sono la storia della vita, animale e vegetale, sulla terra, dalle origini al tempo del poeta, e la storia dell’uomo: del suo vivere sulla terra, tra bellezze e turpitudini, vittorie e sconfitte, generosità e ingiustizie, persecuzioni e delitti, arroganza e sottomissioni.
L’eterna storia, insomma, del rapporto tra chi è armato e chi è inerme; tra uomini che nel mondo si propongono come Dei, contro la vita, e uomini che, rimanendo uomini, volano alto sulle ali della genialità (e dell’intuito) e salvano la vita, nelle sue mille forme e mille identità, dall’aggressione distruttiva del Potere.

Questo è il significato delle Metamorfosi: il trionfo della vita, che gli uomini-Dei pretendono di annientare ma che un Dio-Dio, quale che fosse, trasfigura e salva per mezzo di altri uomini fatti a sua immagine e somiglianza. Le forze demoniache del Potere possono trasfigurare o sfigurare l’energia che genera la vita ma mai sopprimerla.

Gina D’Angelo Matassa
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