Un saggio che attraverso l’esame di molti fatti avvenuti ne contrabbandi come vero uno che avvenuto non è, potrebbe essere l’equivalente in letteratura di quella perversione cinematografica del genere documentario detta docu-drama o docu-fiction, responsabile negli ultimi anni di clamorosi capolavori (Zelig di Woody Allen, Death of a President di Gabriel Range, Bob Roberts di Tim Robbins).
È stato il cineasta Jean Renoir ad affermare che il documentario è la forma di cinema più finta che ci sia. Adottando la medesima trasposizione si potrebbe dire che il saggio è la forma di letteratura più finta che ci sia senza suscitare troppe proteste, alla luce soprattutto di pietre miliari della fantasia quali certi poderosi saggi di Jorge Luis Borges.
Tutto nel presente saggio è stato documentato, per scelta dell’autore, raccogliendo le informazioni nel modo più popolare e attuale che ci sia, ovvero cercando e trovando in internet le fonti enciclopediche ed editoriali più accreditate del momento. Ogni episodio è estremamente documentato, si diceva, tranne uno.
L’espediente è semplice quanto ingegnoso: inserire un avvenimento immaginario in mezzo a una lunga teoria di eventi reali, contrapporlo, confrontarlo, paragonarlo e assimilarlo al più emblematico di questi così da renderne plausibile l’esistenza e animare il dibattito sul possibile grazie all’elemento estraneo della fantasia.
Concepito più come un trattato sugli attentatori che sulle loro vittime, Kennedy e Berlusconi - Lo stesso destino? osserva il fenomeno dell’aggressione politica sotto la lente dell’emozione psicologica, in un’indagine dell’animo umano individuale e di massa che lascia nelle ultime pagine il sapore dolce amaro della Storia che ritorna e si autoneutralizza, di un’evoluzione civile passibile di revisione e riciclaggio nei suoi diversi stadi di progresso verso una nuova fase alla fine già vista e vissuta.
Le spinte a sovvertire, a colpire l’autorità, a eliminare fisicamente l’avversario politico effettivo o presunto, sono tante e tali da riempire una Treccani senza esaurirne le varianti. Eppure, ci insegna Pascal Schembri, le tipologie umane coinvolte sono riconducibili a poche principali linee di azione e reazione, di lotta e complotto, di sfida aperta e congiura.
Le pulsioni sono a seconda dei casi eroiche o pusillanimi, spietate o sportive, estemporanee o calcolate, e designano la complessità di un “animale sociale” molto complicato, quasi ingovernabile, in una società “caos” che sui propri sacrifici edifica lezioni future che forse qualcuno ascolterà.
La dichiarazione in apertura è tesa ad annoverare il saggio tra le opere di fantasia e salvaguardare l’autore da eventuali conseguenze come nella migliore tradizione della fiction. In un mondo e in un’epoca in cui “storia vera” è diventato il marchio di qualità attribuito alla maggior parte dei romanzi, Schembri va controcorrente e sigla un trattato sugli attentati con la classica avvertenza degli scritti frutto d’invenzione.
Come spesso accade, il paradosso è garanzia di autenticità. Alla fine non conta che l’agguato a Berlusconi ipotizzato in un futuro prossimo non sia verosimile o lo sia troppo. Non importa l’avvenimento in sé, quanto il travaso dei generi capace di creare vertigini di significato da realismo a fantasia in un’opera che in questo misuratissimo equilibrio trova il proprio massimo pregio.